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Pubblichiamo il resoconto dell’importante seduta della Camera dei Deputati di oggi, lunedì 27 gennaio 2020, nella quale, dopo molti anni, si è tornato a parlare – in un dibattito organico che ha visto protagonisti tutti i gruppi – di aree interne, rurali e montane del Paese. “Alle parole dovranno seguire i fatti”, hanno già commentato alcuni Amministratori locali. È vero, in parte. Ma attenzione. Le tantissime proposte emerse dalle Mozioni in esame, come gli impegni del Ministro Provenzano (al termine del dibattito e dunque al fondo di questa pagina) sono molto importanti per le tappe legislative dei prossimi mesi e verso la definizione della programmazione comunitaria 2021-2027. Domani, martedì 28 gennaio, il proseguimento dei lavori a Montecitorio, verso venerdì 31, quando il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie ha convocato a Roma gli Stati generali della Montagna. Pensiero e azione, insegnano. La politica è questo. Così anche oggi. 

Buona lettura.

VIII LEGISLATURA

Resoconto stenografico dell’Assemblea

Seduta n. 293 di lunedì 27 gennaio 2020

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Discussione delle mozioni Enrico Borghi, Marco Di Maio, Fornaro ed altri n. 1-00312 e Parolo ed altri n. 1-00316concernenti iniziative per la salvaguardia, la valorizzazione e lo sviluppo delle aree interne, rurali e montane.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Enrico Borghi, Marco Di Maio, Fornaro ed altri n. 1-00312 e Parolo ed altri n. 1-00316 concernenti iniziative per la salvaguardia, la valorizzazione e lo sviluppo delle aree interne, rurali e montane (Vedi l’allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell’Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00317 e Vietina ed altri n. 1-00318, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all’ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l’allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

Avverto, altresì, che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Enrico Borghi, Marco Di Maio, Fornaro ed altri n. 1-00312, che è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dai deputati Federico e Plangger che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventano rispettivamente il secondo e il quinto firmatario. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il collega Roger De Menech, che illustrerà anche la mozione n. 1-00312 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROGER DE MENECH (PD). Grazie, Presidente. Ministro, io sottolineo in apertura l’importanza di aver riportato in Parlamento questa iniziativa. È un’iniziativa importante, come dicevo, venti punti molto qualificanti per affrontare un tema, quello delle aree interne, che lega in maniera forte il possibile sviluppo del nostro Paese, uno sviluppo che deve essere assolutamente equilibrato. Dobbiamo prendere atto che negli ultimi anni il nostro Paese, come gran parte dell’Europa, ha vissuto sicuramente due fenomeni che hanno messo in dura difficoltà, in pesante difficoltà, le aree interne: da una parte, il calo demografico – che viviamo in tutto il territorio nazionale ed europeo – ma, oltre al calo demografico naturale, nelle aree interne c’è stato il cosiddetto scivolamento a valle, la concentrazione sulle grandi metropoli della popolazione. Questo ha provocato, come dicevo, in questi anni, un fenomeno che noi riteniamo quello, forse, più preoccupante in questo momento storico, che è quello dello spopolamento. Queste zone, le parti più interne del Paese, rischiano di diventare dei deserti e, se vogliamo avere uno sviluppo equilibrato, dobbiamo sicuramente mettere in atto delle politiche che partono anche dalla considerazione che i nostri padri costituenti avevano fatto nell’articolo 44 della Costituzione, dove il termine di sviluppo economico sostenibile, diffuso sul territorio, armonico, era un termine presente; così come era presente anche che la legge deve disporre i provvedimenti a favore delle zone di montagna. Abbiamo, quindi, il presupposto giuridico fin dal dopoguerra per agire. Cosa è successo in questi anni? Ci sono stati sicuramente degli elementi normativi molto importanti, io ricordo la legge n. 97 del 1994, “Nuove disposizioni per le zone montane”, e soprattutto, nell’ultima legislatura conclusa un paio di anni fa, la ormai famosa legge n. 158 del 2017, “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni (…)”.

Ecco, come abbiamo detto, ci sono tutta una serie di strategie. All’interno di tutte queste norme e queste strategie, sicuramente le strategie rispetto alle aree interne, e quindi le ormai famose 72 zone progetto, hanno assunto un valore significativo, soprattutto perché sono state, di fatto, quelle che hanno consentito di iniziare una sperimentazione operativa, cioè di rendere fruibili nei confronti dei nostri concittadini delle strategie vere e proprie di lungo periodo e, soprattutto, strutturate ad hoc per invertire una tendenza, come dicevo, che era quella di portare lo spopolamento in queste zone.

Le zone, queste 72 aree progetto, come dicevo, non tutte sono completamente partite, però una buona parte di esse ormai ha assunto un ruolo da protagonista nel panorama nazionale e stanno iniziando a produrre degli effetti tangibili sul territorio, intrecciando – è anche questo un valore assolutamente fondamentale – all’interno di queste aree progetto i vari livelli di governo. Perché un’altra cosa fondamentale per la gestione di queste aree è intrecciare i livelli di governo, partendo dal livello locale, quello di prossimità, i nostri sindaci, arrivando alle regioni, allo Stato e, ovviamente, intrecciando le politiche comunitarie. Anche questo è un fattore molto importante.

Le zone montane, queste zone, in Italia sono il 55 per cento del nostro territorio, in Europa il 65 per cento, ed è indiscutibile che abbiano tutta una serie di gap. Io ho detto quello che più ci preoccupa, che è il gap rispetto allo spopolamento, ma ci sono dei gap molto importanti; ne cito uno che potrebbe essere anche una chiave di volta rispetto al futuro: il gap tecnologico, gli accessi ad internet, all’internet veloce e ultraveloce. Sicuramente la tecnologia può aiutare a ridurre le distanze e su questo dobbiamo fare una scommessa molto, molto importante; una scommessa che non è un valore esclusivo per le aree interne o per le zone di montagna del nostro Paese, anzi è un beneficio per la crescita, come dicevo, armonica dell’intero Paese. È indiscutibile – lo abbiamo scritto nella mozione – che dalle zone di montagna arrivano importanti fattori di crescita: posso citare quello del paesaggio, dell’utilizzo del suolo, dell’energia, delle risorse idriche, l’aria pulita, le materie prime, cioè tutta una serie di benefit, li definiamo così, che sicuramente queste zone rendono ai territori di pianura. La crescita armonica di questi territori può contribuire, come dicevo, ad evitare lo spopolamento.

Allora, abbiamo detto: intrecciare politiche di livelli diversi, intrecciare anche forme di cooperazione a livello diverso e sempre più ampio; e qui abbiamo citato Eusalp e Eusair, due modi per cooperare nell’ambito più vasto delle nostre delle nostre comunità e per garantire quell’equilibrio demografico fondamentale.

Un tema fondamentale – io ho citato la tecnologia che può aiutarci a ridurre le distanze -, un tema molto operativo e molto sentito è sicuramente la prevenzione del dissesto: abbiamo vissuto (io vengo da una di quelle zone, la parte più a nord del Veneto) poco più di un anno fa un episodio, che non è un episodio, che è la tempesta Vaia, danni ambientali ingenti, danni che hanno avuto una ricaduta, non soltanto e ovviamente sulle popolazioni che vivono quei territori, ma hanno avuto una ricaduta soprattutto sull’equilibrio ambientale di quelle zone.

Allora in questo senso, come dicevo, noi dobbiamo assolutamente continuare. Cosa abbiamo fatto? Nel bilancio ultimo approvato abbiamo messo in fila una serie di provvedimenti, ampliato le risorse disponibili, tanto è vero che abbiamo stanziato 60 milioni di euro per l’anno 2021, 70 milioni per il 2022 e per il 2023, aggiungendo poi 30 milioni nel triennio 2020-2022 per i famosi interventi alle attività economiche artigianali, cioè per la vita delle nostre comunità. Come dicevo, un’iniziativa molto importante promossa dal collega Borghi, che abbiamo cercato di ampliare proprio anche nelle ultime ore e farla sottoscrivere alla parte maggiore del nostro Parlamento: venti impegni molto puntuali, anche molto concreti, dico io, iniziando da uno sviluppo equilibrato, come dicevo, fra le aree interne e le zone di montagna. Siamo dentro un momento importante per lo sviluppo, come dicevo, armonico di tutta l’Unione europea, siamo dentro il cosiddetto Green Deal europeo: dentro quel contesto le aree di montagna possono essere un fattore assolutamente virtuoso. E poi una strategia, come dicevo, integrata degli interventi. Quindi non più interventi spot, che vengono fatti di volta in volta, ma dentro una progettualità più complessa e soprattutto dentro il coordinamento, che deve essere fatto sicuramente dal Governo insieme alle regioni, di tutti gli enti locali, in modo che l’esperienza positiva delle aree interne e dei settantadue progetti pilota possa finalmente – altro punto qualificante della nostra mozione – essere esportata in tutto il territorio similare delle Alpi e degli Appennini, perché, finita, per così dire, la parte di sperimentazione, è corretto che tutte le zone che hanno caratteristiche di vita similari possano usufruire delle stesse condizioni di trattamento. Ecco, noi dovremo, in questi prossimi mesi, non soltanto agire sulla nostra legislazione, sulla legislazione italiana, aumentare i fondi – poi diremo anche con una proposta di concretezza anche in questo campo -, ma cercare di agire dentro questo nuovo concetto di sviluppo in campo europeo per far capire che questa può essere una molla di sviluppo anche in quel settore, e quindi indirizzare di conseguenza i finanziamenti in campo europeo.

Il coordinamento serrato – abbiamo scritto nel punto 4 – delle politiche nazionali con quelle europee, per arrivare poi, però, a quelli che operano nel territorio, ai nostri amministratori locali, deve cercare di mettere in campo delle economie intelligenti, le abbiamo definite così, sostenibili e inclusive. La sicurezza alimentare, l’inclusione sociale, la parità di genere, la lotta ai cambiamenti climatici, l’ho detto prima, la riduzione del divario digitale, la prevenzione del dissesto, la creazione di nuovi posti di lavoro. Sicuramente tutto dentro il concetto di zone interne, aree di montagna abitate. Non ci interessa, ovviamente, produrre politiche che non abbiano poi una ricaduta concreta rispetto ai nostri cittadini che vivono in quei territori. Altro punto qualificante è rendere sempre più operativa la famosa legge che ho citato prima, la n. 158 del 2017, sui piccoli comuni: è stato un documento fondamentale, anche lì, per rimettere al centro dell’attenzione politica del nostro Paese il tema dei piccoli comuni. Oggi dobbiamo continuare nel riempirla di contenuti.

Il coordinamento, come dicevo, avviene anche e soprattutto attraverso il rafforzamento dell’azione del comitato tecnico, questo è il punto 7 della nostra mozione; il comitato tecnico per le aree interne, istituito ormai nel 2015; ecco, questo va rafforzato, perché, se vogliamo passare da una parte sperimentale a una parte strutturale, noi abbiamo bisogno di conoscere soprattutto. Queste sono aree delicate, che hanno bisogno di professionalità, che hanno bisogno, quindi, di conoscenza. Il rafforzamento delle istituzioni che ne coordinano le attività sicuramente può produrre. Al punto 8, poi, chiediamo di adottare iniziative per incrementare le dotazioni del Fondo nazionale per la montagna fino a 100 milioni nel prossimo quadriennio. Abbiamo già attivato, con l’ultima legge di bilancio, un primo passo importante, è chiaro che le risorse sono un altro elemento importante; le risorse, però, accompagnate da una visione, non fini a se stesse.

Altro tema importante, al punto 9, è il mantenimento della biodiversità montana particolarmente minacciata. L’ho detto prima citando un episodio, la tempesta Vaia. Questi episodi sono quelli che ci fanno capire come quei territori sono straordinariamente belli, ma anche straordinariamente delicati; da questo punto di vista, la lotta al dissesto e ai cambiamenti climatici è un elemento assolutamente importante.

Abbiamo individuato poi – cito il punto numero 12 – un sacco di proposte molto operative che possono migliorare la sostenibilità dello sviluppo delle aree di montagna, per esempio l’attivazione di filiere per lo sviluppo rurale, sull’agriturismo, ma anche una serie di benefici fiscali. La parte dei benefici fiscali è un’altra parte importante della mozione che mettiamo nelle disponibilità di questo Parlamento, per un concetto molto semplice: vivere in queste zone, vivere lontano dai grandi centri di attrazione economica costa di più. Avere dei benefici fiscali, ridurre la pressione fiscale su alcuni tipi di attività, che, ovviamente, sono sempre a rischio del cosiddetto fallimento di mercato, può consentire di far rimanere le persone a vivere, ma soprattutto a lavorare. Ecco, allora abbiamo puntualmente individuato, partendo, ovviamente, per esempio dai rifugi di montagna, da tutta l’attività di educazione ambientale, da tutta quell’attività che viene fatta all’interno delle aree protette, siano esse nazionali che regionali, dei siti di Natura 2000. Incentivare queste attività con dei benefit può consentire, come dicevo, di invertire una tendenza e riattivare una filiera positiva perché i nostri giovani possano con dignità – perché questo è estremamente importante – vivere in quei territori, quindi un’inversione di tendenza.

Possiamo poi arrivare al punto 14 della nostra mozione, con una vera e propria inversione di tendenza anche sotto il profilo burocratico. Abbiamo detto incentivare con gli sgravi fiscali le attività tipiche delle zone di montagna e semplificare la burocrazia, altro elemento molto importante. Qui abbiamo inserito anche una cosa molto, molto importante, perché insieme all’abbandono e allo spopolamento c’è l’abbandono dei nostri borghi, dei borghi delle aree interne. Qui abbiamo previsto anche di costruire delle norme specifiche proprio per la trasformazione immobiliare, per fare in modo che i nostri centri abitati, che i centri abitati di montagna, non vadano a sparire proprio perché nessuno ha più l’interesse economico di intervenire; quindi affiancare gli strumenti generali per agevolare le operazioni di riqualificazione edilizia, che ci sono già nella normativa nazionale, con degli strumenti puntuali per queste zone. Come abbiamo detto, ci sono più e più punti che richiamano alla governance, ai tavoli di concertazione delle aree interne, tavoli estremamente importanti per riportare al centro il come agire su queste aree, con questa logica sempre di multilivello, quindi partendo dagli enti locali e arrivando fino al Governo nazionale ed europeo.

Altro punto importante è il punto numero 18: come sapete, nelle strategie delle aree interne il tema dei servizi è un tema centrale. Abbiamo bisogno di investimenti e di servizi; dentro i servizi la scuola, i trasporti e in particolare la sanità, il mantenimento dei presidi del controllo del territorio e della sanità. Abbiamo poi messo un accenno su un tema presente nell’attualità e nel dibattito parlamentare, il tema della gestione della risorsa dell’acqua, e qui – lo abbiamo detto in maniera molto chiara – quell’acqua deve essere gestita coinvolgendo innanzitutto i territori e gli enti locali che vivono nei nostri territori.

È una mozione quindi – e vado a chiudere – che ci auspichiamo possa avere una convergenza la più ampia possibile. Abbiamo cercato, come dicevo, di riportare in questi venti punti tutto quello che è necessario produrre a beneficio dei territori delle aree interne e delle zone di montagna, però con un approccio assolutamente delicato e, soprattutto, con un approccio che fa della conoscenza di quelle zone il fattore primario, perché gli interventi siano mirati, puntuali e abbiano un’efficacia soprattutto per fermare quello che è oggi, crediamo, il problema principale, che è l’abbandono di queste zone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Badole, che illustrerà anche la mozione n. 1-00316, di cui è cofirmatario.

MIRCO BADOLE (LEGA). Grazie Presidente, la montagna rappresenta una realtà geografica economica e insediativa di straordinario rilievo per il nostro Paese, delimitato a nord dalla catena alpina e attraversato lungo il suo intero svolgimento peninsulare da quella appenninica, con rilievi montuosi di significativa estensione anche nelle sue isole maggiori. Questa montagna, che la geografia fisica descrive nell’intensità del suo coronamento, oltre che nello sviluppo altitudinale, trova un suo riconoscimento amministrativo nell’individuazione dei comuni totalmente o parzialmente montani. La montagna interessa 4.205 degli 8.100 comuni italiani, il 51,9 per cento, nei quali risiede una popolazione di oltre 14 milioni di abitanti, quasi un quarto della popolazione nazionale, e che si estendono per circa 175 mila chilometri quadrati, ovvero il 58,2 per cento del territorio nazionale. Una realtà estesa, che coinvolge l’intera articolazione del quadro regionale italiano, dalla identificazione totalitaria della regione Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano alla minima incidenza delle regioni Veneto e della Puglia. In termini di distribuzione della popolazione l’insediamento montano rappresenta la configurazione maggioritaria dello spazio regionale, oltre che nelle tre realtà già richiamate, nelle quali ha addirittura l’espressione totalitaria, anche in tre piccole regioni del Centro-Sud, Umbria, Molise e Basilicata.

Per numerosità di comuni l’orizzonte montano è dominante in dodici delle ventuno realtà regionali italiane, comprese Lazio e Campania tra le maggiori; per estensioni territoriali, infine, la realtà montana è prevalente in quattordici realtà (anche in Piemonte, Friuli, Liguria, Marche, Abruzzo, Calabria e Sardegna) e rappresenta comunque una realtà prossima al 50 per cento dell’estensione in tutte le altre zone del Paese, ad eccezione solamente della Puglia e Sicilia dove il peso territoriale dei comuni montani è inferiore al 40 per cento.

Le risorse che il territorio montano italiano è in grado di offrire, a partire dai servizi ecosistemici, rappresentano un fattore vitale per lo sviluppo armonico del territorio e il passaggio ad un’economia sostenibile nel nostro Paese non può prescindere dalla montagna; aree e territori vivi, che garantiscono manutenzione e gestione del territorio, primo fattore di prevenzione dei rischi idrogeologici, che in questi anni hanno colpito diverse aree del Paese. Tornare a discutere di territorio, di valutazione delle risorse, di strategie di sviluppo è anzitutto il modo di restituire alla politica la sua funzione; significa elevare la capacità di Governo delle istituzioni locali e nazionali, rimettendole in connessione con i cittadini. Il territorio montano svolge oggi una funzione assolutamente essenziale per la modernizzazione del Paese e, quindi, la sua gestione e la sua tutela sono fattori chiave su cui lavorare per assicurare all’Italia un futuro migliore e più equo, che peraltro è l’ambito nel quale operano numerosi distretti produttivi che continuano a garantire all’Italia una capacità competitiva internazionale e rappresenta il tessuto connettivo indispensabile sul quale si innerva l’economia del turismo, dell’enogastronomia e dell’agroalimentare. Nonostante le manifeste specificità, queste aree vengono considerate, per lo più senza distinzione dal resto del territorio, secondo criteri uniformi e improntati alle esigenze delle zone a maggiore densità di popolazione e ai principali centri urbani localizzati nelle pianure. Ciò ha determinato negli anni un progressivo allontanamento delle attività svolte in zona montana dalla vocazione territoriale e dalle risorse che in essa presenti possono divenire generatori di ricchezza se opportunamente gestite. La corsa a modelli di sviluppo inadeguati alle peculiarità del territorio ha generato fallimentari esperienze che non hanno saputo sostanzialmente frenare la tendenza dello spopolamento drammatico nel ventennio 1950-1970, che oggi affligge soprattutto le località più periferiche e i nuclei abitati più piccoli, presidi imprescindibili per la gestione del territorio, che prevenendo i danni e i costi, anche in termini di vite umane, generate dall’abbandono sono vantaggiosi per la collettività. Ancora più dei condizionamenti climatici il fattore che ha rappresentato la maggiore penalizzazione all’insediamento montano nella società contemporanea è sicuramente rappresentato dalle maggiori difficoltà che la morfologia montana ha determinato in termini di collegamenti e velocità di spostamento. In una società che, con l’avvento della motorizzazione privata di massa, ha visto modificare radicalmente in tempi relativamente ristretti il rapporto tra spazio e tempo della vita quotidiana. Il territorio montano è impervio e rarefatto e determina contemporaneamente maggiore lunghezza dei collegamenti e più ridotta agglomerazione di popolazione: quindi, economie più contenute tanto per la fruizione dei servizi che per lo sviluppo dei mercati. La misura dell’accessibilità, cioè della quantità di popolazione in grado di raggiungere le diverse parti del territorio entro un intervallo spazio-temporale definito, muovendosi lungo la rete infrastrutturale stradale e ferroviaria esistente nelle sue concrete e diversificate condizioni di esercizio rappresenta così un indicatore quanto mai immediato ed espressivo delle effettive condizioni di centralità di un territorio in grado di consentire confronti nello spazio ma anche nel tempo, registrando gli effetti di sistema che l’evoluzione demografica, con le componenti sociali e naturali, produce nel tempo sulle condizioni dei diversi territori. L’accessibilità generale della popolazione al territorio mostra con tutta evidenza il fortissimo scarto presente appunto in termini di accessibilità tra i territori montani e quelli costieri e di pianura del Paese.

Nei primi l’accessibilità si riduce spesso a poche migliaia di persone raggiungibili entro un arco temporale agevolmente sostenibile anche in termini di pendolarismo come quello della mezz’ora. Nei secondi l’accessibilità determina diffusamente la presenza di una condizione urbana in presenza di economie di scala paragonabili a quelle che possono essere rappresentate da una città di medie dimensioni. Prendendo come discriminante la soglia dei 50 mila abitanti accessibili, che giustifica la presenza efficiente di infrastrutture di servizio – in altri tempi si sarebbero chiamate comprensoriali – come quelle rappresentate dal polo scolastico secondario superiore o da un complesso ospedaliero, le differenze della montagna paiono subito evidenti. Se per l’intero Paese questa condizione minima di buona accessibilità è presente nei due terzi dei comuni, che ospitano però la stragrande maggioranza della popolazione, i comuni montani che possono fruire di un analogo livello di accessibilità sono meno della metà del totale: esattamente il 44,6 per cento ed ospitano il 70,5 per cento della popolazione montana, una situazione di penalizzazione generalmente diffusa che conosce però diversificazioni importanti nel quadro regionale. Così se una condizione di buona accessibilità è relativamente diffusa nei comuni montani dell’arco alpino, dove oltre la metà dei comuni montani è in questa condizione, con la significativa eccezione delle province autonome di Bolzano e Trento, penalizzazioni maggiori sono presenti nelle regioni montane dell’arco appenninico e delle isole. Le condizioni di maggiore penalizzazione in termini di accessibilità sono presenti in regione Basilicata, dove solo l’11,4 per cento dei comuni e il 14,5 per cento della popolazione montana supera la soglia dei 50 mila abitanti accessibili in mezz’ora; in Sardegna il 18,3 per cento dei comuni e il 33,7 per cento della popolazione ed in modo assai diverso in regione Emilia-Romagna dove solo il 25,6 dei comuni montani presenta livelli accettabili di accessibilità, ma essi rappresentano comunque oltre il 70 per cento della popolazione montana. Questa condizione di forte penalizzazione nei confronti dell’orizzonte montano è stata sensibilmente accentuata nell’evoluzione conoscitiva nel tempo dal popolamento che ha determinato, nel corso della seconda metà del ventesimo secolo, una forte riduzione della presenza umana nella montagna, frutto di processi di abbandono dei territori marginali, dell’esodo verso destinazioni urbane e poi anche di processi di invecchiamento e crisi della natalità. Sono particolarmente penalizzati, sotto questo profilo, i territori montani di alcune regioni dove la perdita di accessibilità è stata il tratto uniforme e solo quote davvero modeste dei comuni hanno potuto interrompere questa tendenza: è il caso delle regioni Marche, Abruzzo, Basilicata o il Friuli, dove si sono registrati incrementi apprezzabili di accessibilità in un decimo circa dei comuni in cui il peso non era comunque superiore a un quinto della popolazione montana. Poco meglio anche Toscana, Umbria e Molise, mentre una performance di taglio decisamente diverso è quella che ha interessato la provincia autonoma di Bolzano e la Valle d’Aosta. Bisogna quindi ripensare al Governo del territorio montano partendo dalle caratteristiche e dalle risorse delle vocazione intrinseche, cercando così di riformulare i rapporti tra le montagne e il resto del territorio, con l’obiettivo di fornire la permanenza e il ritorno dell’uomo, nonché la gestione appropriata delle risorse finalizzate alla generazione di servizi sostenibili e di qualità per la collettività.

Promuovere provvedimenti atti a favorire il restare in montagna e l’insediamento di attività imprenditoriali di giovani nei settori di massima vocazione territoriale quali agricoltura, turismo, utilizzo di risorse forestali, la produzione artigianale, agroalimentare tradizionale. Il modello di impresa di montagna deve poter beneficiare di uno snellimento burocratico e di procedure specifiche semplificate, valutando anche azioni di agevolazione del prelievo fiscale tenuto anche conto dei disagi spesso cagionati dai sistemi informatizzati, da condizioni climatiche avverse o da carenze infrastrutturali legate all’impervietà di alcune aree montane. Garantire l’erogazione dei servizi essenziali alla popolazione residente a partire da sanità, trasporti, istruzione, poste e telecomunicazioni per contrastare il fenomeno dello spopolamento e dare vita ad un percorso di nuova attrattività.

Tali servizi devono essere organizzati, pensati, finanziati e strutturati per un territorio difficile, poco popolato e vasto, anche attraverso scelte coraggiose e innovative, evitando di applicare modelli di territori urbanizzati, ma sfruttando anche innovazioni tecnologiche che, abbattendo le distanze, consentano di comunicare, formarsi ed informarsi a costo basso, limitando gli spostamenti o anche fornendo la riconversione di strumenti esistenti in forme innovative di trasporto pubblico.

Altri temi fondamentali sui quale porre particolare attenzione sono quelli forestali e agrosilvopastorali, con riferimento alla gestione del bosco e del territorio mediante strumenti di valorizzazione della filiera del bosco-legno e del valore aggiunto dell’agricoltura di montagna, tramite il superamento della frammentazione fondiaria e il sostegno delle nuove realtà associative di valorizzazione del territorio. È necessario, dunque, ripensare al governo del territorio montano partendo dalle sue caratteristiche e dalle sue risorse e vocazioni, cercando di riformulare i rapporti tra le montagne e il resto del territorio con l’obiettivo di favorire la permanenza e il ritorno dell’uomo nonché la gestione appropriata delle risorse finalizzate alla generazione di servizi sostenibili e di qualità per la collettività. Le istanze di chi popola le aree montane e le presidia devono trovare degno riconoscimento e spazio nei processi decisionali collettivi, affinché i provvedimenti adottati non declinino in mortificanti elargizioni una tantum di mero assistenzialismo per le aree marginali – tanto utile quanto deleterio – ma facciano parte di un piano strategico di valorizzazione e di sviluppo che non può passare per le risorse delle aree montane, ambiente, territorio e tradizione con tutti i frutti che queste generano, come l’energia, i prodotti agroalimentari tipici, il turismo sennonché il contesto ideale nel quale ospitare attività ad alto contenuto professionale e tecnologico verso cui è necessario diventare attrattivi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Ciaburro, che illustrerà la mozione n. 1-00317, di cui è cofirmataria.

MONICA CIABURRO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, non possiamo parlare d’Italia e, conseguentemente, d’Europa senza parlare di bellezza e di tipicità dei nostri territori, ammirati e invidiati in tutto il mondo per la loro varietà. Come è noto, il territorio della nostra nazione è tra i più montuosi d’Europa, essendo per oltre la metà costituito da zone montane e collinari che costituiscono oltretutto anche quasi i tre quarti del territorio dell’Unione europea, ospitando gran parte della sua popolazione.

Alla luce di questi semplici dati sarebbe da sconsiderati rigettare e negare l’importanza che deve essere attribuita a questi territori che hanno delle caratteristiche, delle tipicità e delle esigenze totalmente diverse da quelle che sono le aree metropolitane. È, infatti, nella montagna, nel mondo rurale che si manifesta maggiormente quello che alcuni intellettuali italiani come Leo Longanesi definivano “lo Strapaese”. Lo “Strapaese”: il mondo distante dai grandi centri, dalle metropoli, dove si vive di tradizione, dove c’è tipicità, varietà, lontano dalle ZTL, dove lentamente nel tempo si è costruita la nostra storia, la cultura di questo nostro grande Paese. I nostri campanili, i nostri borghi, le nostre identità sono racchiuse in queste comunità delle alte terre.

È nella ruralità che impariamo ad amare la natura da vicino e non in fotografia, il nostro patrimonio ambientale, a rispettarla, valore ancora più importante oggi giorno quando si discute di sostenibilità, di soluzioni verdi, ecocompatibili, green, dove l’ambientalismo à la carte diventa quasi la scusante per politiche inefficienti e inadeguate per questi territori, quasi come a voler ingessare un territorio in un quadro bello da guardare, ma dove l’uomo non trova più la sua dimensione e la sua dignità di poterci abitare.

Permettetemi, inoltre, di rivendicare un elemento fondamentale: è proprio nelle comunità montane che da generazioni si insegna il rispetto e l’amore per la natura ed è da qui che deve ripartire l’intero dibattito sul ruolo della nostra nazione, nella definizione di un nuovo patto sociale tra cittadini, centro e periferia, perché è bello visitare questi borghi, ma se li lasciamo precipitare e desertificare o abbandonare rispetto a non attenzioni che continuiamo ad avere da anni sicuramente non sarà più bello andare a visitarli.

La globalizzazione e lo sviluppo tecnologico e sociale a cui stiamo assistendo oggi hanno incentivato il ruolo delle metropoli e delle città ma, dall’altro, incrementato la distanza tra centro e periferia, rendendo una parte importante della popolazione sempre più isolata, sempre più abbandonata e sempre più diversa dagli altri cittadini. Non è mai corrisposto un fenomeno equivalente nelle aree più periferiche del Paese che, anzi, si sono sempre più spopolate e isolate. Gli stessi servizi che un cittadino riesce ad avere nelle aree metropolitane chiaramente non riesce più ad averli in questi territori più marginali. Faccio un esempio: tutti guardiamo la televisione; oggi, nel 2020, ci sono degli abitanti che non possono vedere la televisione, non possono avere Internet e per andare dal medico devono fare chilometri senza avere nemmeno, magari, il servizio pubblico. Credo che la montagna possa essere sì un simbolo di libertà con privilegi, perché si vive in un territorio meraviglioso e ed è fortemente in simbiosi con la natura, però è proprio la voglia di questa libertà quella che ha portato tutte queste comunità montane della Svizzera a decidere di federarsi nel rispetto delle proprie differenze per resistere all’oppressione delle altre potenze europee, arrivando a creare un Paese che a oggi è riuscito ad aggregare italiani, tedeschi e francesi nel rispetto delle tipicità di ogni cantone che ne fa parte.

E noi, invece, come possiamo dirci una grande nazione se non riusciamo a tutelare i nostri territori e le persone che li vogliono vivere con resilienza, con coraggio, con determinazione, con dignità? È scritto o no nella Costituzione, all’articolo 3, che è proprio compito della Repubblica rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione dei cittadini? Noi, invece, li stiamo mettendo o determinando. Purtroppo, alle parole non sono seguiti i fatti. Negli ultimi anni nei confronti del monte si è imposto un approccio gerarchico, di dipendenza dal centro, dimenticandosi dei cittadini e delle istituzioni locali. Alle piccole comunità montane è sempre stato applicato un quadro regolamentare alla pari di tutte le altre aree urbane. Questo non ha fatto che incrementare le difficoltà a carico di queste comunità e la conseguenza è stata quella che poi è ovvia: lo spopolamento, di cui tutti, tutti parliamo ma su cui non riusciamo a mettere in campo delle misure strutturali che possano guardare a tutti gli aspetti in modo organico e decisivo, efficace ed efficiente.

Negli ultimi anni il numero di giovani che ha deciso di abbandonare le aree montane e rurali per trovare fortuna e più opportunità nei centri è incrementato a dismisura. La concentrazione di abitanti anziani è arrivata a rappresentare il 34 per cento del totale, implicando, quindi, una drammatica riduzione dei giovani che vivono in queste aree. A un crescente spopolamento corrispondono, inoltre, maggiori oneri e costi per il mantenimento di quel patrimonio collettivo che è l’ambiente e il paesaggio delle zone montane, oneri e costi che ricadono quasi esclusivamente sulle comunità che ci vivono. Un ragazzo oggi per poter andare a scuola da questi luoghi magari deve farsi un’ora e mezza di pullman se non due ore, alzarsi alle cinque del mattino, rientrare nel pomeriggio, e quando non al pomeriggio rientra la sera. Davvero fanno più fatica, ma noi che risposte possiamo dare a questi giovani che, con fatica, vogliono continuare a vivere lì?

Anche secondo i dati a disposizione che abbiamo, i piccoli comuni coprono per estensione il 54 per cento della superficie complessiva della nostra penisola, aree che fino ad ora hanno assicurato, grazie alla cura dei residenti, la salvaguardia della natura, la tutela della terra e la conservazione del paesaggio. Queste esternalità positive per l’ambiente possono portare un valore fino a 90 miliardi di euro annui. È una nostra sfida far emergere questo valore e monetizzarlo, ma l’approccio che è stato seguito fino a oggi ha remato contro queste comunità e contro la loro voglia di libertà. All’approccio federativo, che storicamente ha portato poi al grande successo quelle comunità montane, è stato preferito l’approccio accentratore. Si è preferito unire e fondere comuni già in difficoltà per la scarsità di risorse a disposizione quando poi, invece, troviamo le risorse per fare le fusioni, mettendo ulteriormente in difficoltà gli uni nei confronti degli altri senza capire che una comunità a più di mille metri di altezza sul livello del mare e con meno di mille abitanti non potrà mai sopravvivere se dev’essere sottoposta agli stessi regimi amministrativo-burocratici di comunità più ampie e facilmente collegate ai centri.

Questa mozione di Fratelli d’Italia con 23 punti – che poi andrò a delineare – è il nostro modo per dire alla nazione, ai cittadini e a queste comunità che noi ci siamo. Con questa mozione noi vogliamo impegnare il Governo a seguire l’unica ricetta possibile: quella della libertà, quella del ridare dignità a queste terre e a chi le vuole vivere.

Per questo vogliamo che ci sia un impegno vero per definire il concetto di montanità, che ad oggi resta solo oggetto di confusione e di controversie a tutti i livelli amministrativi (regionale, nazionale, europeo), a volte qualche provvedimento a spotche non è risolutivo, se non si immagina un quadro generale dove muoversi per rendere strutturale un’azione determinata e incisiva su quelle aree, perché è inutile parlare di cura dell’ambiente e del patrimonio paesaggistico della nazione e poi accentrare, unire, annientare, allontanare quelle comunità che per anni, senza l’aiuto di nessuno, hanno provveduto a sobbarcarsi tutti gli oneri per mantenere il territorio italiano come uno dei più belli al mondo. Con la nostra mozione e con i nostri provvedimenti noi di Fratelli d’Italia vogliamo promuovere quel modello di federalismo per le comunità montane, che gli permetta di associarsi e di sostenersi vicendevolmente, secondo il loro ritmo, deciso dalle comunità stesse, rimettendo le istituzioni ed i cittadini al centro del processo e spostando lo Stato centrale ad un ruolo sussidiario; un ruolo che sembra sussidiario, ma di fondamentale importanza, perché noi chiediamo a gran voce che venga ripresa la proposta di legge che abbiamo depositato per istituire le zone franche di montagna, che sembrano un sussidio, ma in realtà, al posto del reddito di cittadinanza, è un diritto di cittadinanza a vivere quei territori per promuoverne lo sviluppo, favorendone la residenzialità e l’imprenditorialità, abbattendo più barriere possibili, che impediscono ai cittadini di realizzarsi e di arricchire i territori in cui sono nati e cresciuti e dove vorrebbero continuare a vivere, dove attraverso le loro attività economiche assolvono anche un ruolo sociale, dove ci si parla ancora, dove se qualcuno va, anche solo in visita, sa dove potersi fermare per prendersi anche un banalissimo caffè. Perché in questi anni, l’approccio nei confronti delle comunità montane non è cambiato di una virgola, con metodologie di ripartizione delle risorse spesso inadeguate: penso al Fondo di solidarietà comunale, che, come esposto dall’ANCI stessa in un’audizione del 2017, dalla direttrice del Dipartimento delle finanze, dal 2015 sta vedendo progressivamente erosi i benefici per i piccoli comuni, arrivando a gravissime penalizzazioni nei confronti dei comuni sotto i 1.000 abitanti, proprio quei comuni dove spesso la giunta comunale deve prestarsi a svolgere lavori di amministrazione e burocrazia pubblica per supplire a delle mancanze di personale, mancanze di segretari comunali. Evidentemente, per una qualche necessità politica che ancora mi sfugge, a Roma ed in particolar modo da questa maggioranza non vogliono essere prese in considerazione o non nella misura necessaria e strutturata. E così tantissimi comuni montani, intere comunità votate all’insegna della promozione della nostra storia e del nostro patrimonio ambientale, che esistono da secoli, resistendo a guerre e rivoluzioni, stanno venendo lentamente travolte e spazzate via da una amministrazione centrale, da quello Stato che dovrebbe riconoscerne il valore, la tipicità, la loro storia, distrutte da una politica votata all’insipienza, che preferisce tagliare, unire, accorpare intere comunità, come se le vite dei cittadini fossero dei semplici numeri su una tabella: li riuniamo e tutto è più facile. Ma ricordo che anche gli animali, quando sono nella stalla, hanno bisogno della libertà per poter andare nei pascoli e sono liberi, poi il servizio ce l’hanno comunque. E sicuramente, tra qualche anno, la politica bene, quella dell’intellighenzia, dei centri città, si sveglierà di fronte al fatto compiuto, cadendo dalle nuvole, quando sarà evidente per tutti che i costi per il mantenimento del patrimonio ambientale saranno triplicati, quando il tema della città fantasma, il deserto, diventerà l’ordine del giorno, quando vedremo le storie di successo di nazioni come la Francia, che invece hanno trasformato questa problematica in una ricchezza ed allora la politica sarà pronta a piangersi addosso per aver fatto troppo poco, troppo tardi. Ma piangersi addosso non è da noi, no, perché noi di Fratelli d’Italia i problemi li affrontiamo a testa alta, con coerenza, perché noi siamo al servizio dei cittadini, che vogliono risposte, non inutili chiacchiere e belle parole. Soprattutto, queste comunità isolate, che per molti in quest’Aula acquisiscono importanza solo in campagna elettorale, poco telegeniche e lontane dalle ZTL, attente alla tradizione, forse troppo, al punto che forse accorparle tra di loro come mattoncini, tagliar loro le risorse, nasconderle sotto un tappeto, non sembra un’idea così malvagia. Signori, io vi invito a visitare queste comunità, a parlare con i loro cittadini, con i loro amministratori comunali, con coloro che hanno delle attività economiche, che si inventano ogni giorno una strategia per tirare avanti, a vivere quello che vivono, a comprendere le loro preoccupazioni, le loro esigenze, i loro bisogni. Io vi invito a fare politica vera e non a chiudervi nei vostri salotti in centro città, a fare finta che questa Italia profonda e rurale non esista.

Mi avvio a concludere: l’unica strategia per rilanciare queste aree è quella che da un lato garantisca loro un regime amministrativo e fiscale differenziato e che dall’altro ne favorisca e inverta il trend per ripopolarle, che permetta ai giovani di lavorare, di studiare, di lavorare, crescere e fare impresa, che riconosca il ruolo fondamentale delle comunità che vivono nelle alte terre, nel mantenimento del patrimonio ambientale e nazionale, patrimonio e risorse che sono sempre oggetto di depauperamento (vediamo i boschi, vediamo l’acqua), ma risorse che non restano sul territorio. Lo Stato deve garantire le stesse possibilità di vita a queste comunità, deve garantire l’erogazione di servizi essenziali come sanità, trasporti, istruzione, poste, telecomunicazioni, combattendo tutte quelle difficoltà legate alle aree che sono definite fallimento di mercato. Bisogna fare dei passi in avanti per garantire la connettività a banda larga a queste comunità, che è sì una possibilità, ma se non ce l’abbiamo e poi continuiamo ad adottare strumenti come fattura elettronica o scontrino fiscale elettronico in aree dove ancora non c’è l’Internet, in aree dove per avere il digitale devono comprarsi il satellite, costi in più rispetto a tutti gli altri. Oggi si trovano in uno stato di isolamento e si vedono private della possibilità di competere ad armi pari con gli altri agglomerati urbani, anche di nazioni a noi confinanti, come ad esempio la Francia. Ma forse, proprio perché piccole, queste comunità non interessano i partiti di maggioranza, che fino ad oggi hanno dato dimostrazione di interessarsi unicamente ai voti, anche a scapito dei più deboli, quando invece dovrebbero essere i primi pensieri di noi che siamo a servizio di questi bisognosi. La nostra mozione è suddivisa in 23 punti proprio per dare degli spunti, dei temi per ragionare in modo organico e concreto: intanto, garantire le iniziative necessarie per garantire appunto la piena attuazione dell’articolo 44, comma 2, della Costituzione italiana, armonizzando e dando luogo ad una definizione unica di montanità e adottando, per le aree ricadenti sotto questa categoria, politiche improntate alla semplificazione degli oneri burocratici ed amministrativi, che ricadono sulle popolazioni residenti nelle terre alte, riconoscendone la tipicità; riconoscere anche il ruolo dei comuni, dando loro la possibilità di associarsi in federazioni di comuni, non cancellandoli con le fusioni, riconoscendo loro quindi la peculiarità anche nei confronti di quelle che sono le istituzioni locali; ad adottare – nel terzo punto – iniziative per sostenere progetti ed iniziative che mettano in sinergia enti di ricerca: chiediamo aiuto a chi sa fare delle cose, mettiamo insieme, in modo che facciano sintesi, gli enti di ricerca, la società civile, istituzioni, enti locali, per poter elaborare delle strategie di sviluppo sostenibile di queste altre terre; al punto 4 abbiamo messo la valutazione di approcci integrati per l’erogazione dei servizi di alta formazione e di supporto allo sviluppo sostenibile delle alte terre, prevedendo anche delle collaborazioni tra pubblico e privato, istituzioni, università, e agevolando, ove applicabile, il ricorso a dei fondi strutturali europei e l’iniziativa privata; ad adottare ogni iniziativa che può essere utile per garantire la sopravvivenza di queste comunità, anche garantendo la possibilità di federarsi, come dicevo prima, ed interpretando un ruolo di mediatore tra Comunità montane e istituzioni adibite alla ricerca ed all’alta formazione. Occorre anche valorizzare la presenza dei giovani in queste comunità, valorizzando il patrimonio edilizio, agevolando la partecipazione alle attività culturali, sportive, garantendo lo sviluppo delle infrastrutture, della rete 5G, la diffusione della connessione a banda larga, l’accessibilità alla formazione, la possibilità di studiare, i servizi pubblici, i servizi di trasporto, anche e soprattutto in quelle aree a fallimento di mercato quali quelle montane.

Abbiamo anche chiesto di adottare tutte quelle iniziative necessarie per contrastare questo spopolamento, anche tramite delle semplificazioni degli oneri amministrativi, incentivi fiscali, sviluppo delle infrastrutture di rete e delle infrastrutture di trasporto oppure la possibilità, contestualmente al periodo di programmazione dei fondi di coesione dell’Unione europea 2021-2027, di un fondo per il finanziamento di politiche specifiche per le aree interne, rurali e montane, a sostegno anche di quelle tipicità e specificità di quelle aree; ad adottare anche iniziative per riconoscere il ruolo delle comunità montane nei contesti elettorali della definizione dei collegi, perché va bene il numero degli abitanti, ma consideriamo anche il territorio; ad assumere tutte le necessarie iniziative per agevolare la formazione di accordi e politiche comuni tra le regioni alpine e appenniniche in materia di politiche ambientali e gestione dei parchi; a sostenere lo sviluppo del turismo rurale e dell’agro-turismo montano tramite maggiori semplificazioni amministrative ed esenzioni fiscali, preservando, al contempo, la specificità italiane, come le tradizioni e i prodotti locali tipici, che hanno dei profumi e dei sapori diversi da qualsiasi altra parte; ad individuare e dare attuazione a tutte le iniziative necessarie per rivitalizzare le aree interne rurali e montane del Paese in fase di spopolamento, attuando una differenziazione fiscale al fine di favorire investimenti pubblici e privati, garantendo altresì un’efficiente manutenzione delle infrastrutture locali, spesso danneggiate dal maltempo, e seguendo la pratica delle zones de revitalisation rurale, come fanno in Francia, predisposta appunto dalla Repubblica francese, a tutela di queste comunità.

Abbiamo proposto delle modalità di compensazione dello sfruttamento delle risorse naturali presenti sul territorio delle aree interne rurali e montane a vantaggio prioritario e diretto della popolazione residente, in forma di sgravi e compensazioni fiscali, con il fine di garantire una gestione del territorio e delle comunità. Concludo: noi di Fratelli d’Italia sosteniamo convintamente questa mozione e queste proposte, perché non abbandoneremo mai i cittadini; gli ultimi, i nostri centri rurali, la culla delle mille tradizioni e tipicità che ci hanno reso la nazione più bella del mondo.

ROBERTO NOVELLI (FI). Grazie, Signor Presidente, bentornato, Ministro. Anche Forza Italia, con la sua mozione, vuole dare un contributo importante al rilancio della montagna e dare delle risposte ai troppi problemi che l’affliggono. Va riconosciuto come la legge n. 97 del 1994, che titolava “Nuove disposizioni per le zone montane”, abbia avuto il merito di aver ben operato in talune sue parti pur non avendo saputo avviare quel volano di sviluppo destinato ad arginare lo spopolamento e il crescente abbandono dei territori che affliggono la montagna italiana. Se al Nord abbiamo miglioramenti, come nelle regioni della Val d’Aosta o del Trentino-Alto Adige, nella quale si registra un incremento della popolazione tra i più alti d’Italia – questo è un fenomeno strano quando si parla di montagna -, con particolare riferimento alla popolazione giovanile attiva nel mondo del lavoro, altrove si registrano diminuzioni che sono drammatiche. In un convegno sulle aree interne, in Sicilia, nell’ottobre scorso, è stato presentato uno studio delle regioni in cui si è evidenziato che, dal 1951, in 65 comuni interni dell’isola la popolazione si è ridotta di 147.479 unità; dal 2011 al 2019 ben 14 mila in meno, come fossero spariti nel nulla tutti gli abitanti di Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Non meno grave la situazione della Calabria e della Basilicata. Altrettanto si sta verificando nelle aree terremotate dell’alto Lazio, dell’Abruzzo, dell’Umbria e delle Marche, complici anche i ritardi nella ricostruzione. I più giovani e i più attivi se ne vanno, e non tornano più. I numeri dell’abbandono sono impietosi: a fronte di una popolazione italiana che è aumentata di 12 milioni di unità negli ultimi sessant’anni, la crescita si è prevalentemente concentrata in pianura, con 8,8 milioni di residenti in più, e in collina, con 4 milioni di residenti in più; nel 1951 la popolazione montana rappresentava il 41,8 per cento sul totale nazionale, oggi la percentuale è scesa al 26 per cento. La riforma della legge sulla montagna italiana, presentata nel 2003 dall’allora intergruppo parlamentare Amici della montagna, riuscì ad arrivare sino alla definizione di un testo unificato redatto dalle due Commissioni esaminatrici, la Commissione affari costituzionali e la Commissione bilancio del Senato. Per anni, almeno fino al 2008, la discussione in Parlamento del testo sui piccoli comuni si è intrecciata con quella relativa alla legge sulla montagna e, anzi, la legge sulla montagna sembrava prevalere, perché i trattati europei e la Costituzione italiana espressamente fanno riferimento alle problematiche delle zone montane. Non sono ben chiari i motivi per cui il testo sulla montagna è stato abbandonato, fatto sta che diverse norme di quella legge sono state trasfuse nella legge sui piccoli comuni, come quella dell’articolo 15 della legge sui trasporti e l’istruzione nelle aree montane, o altri servizi di incasso e pagamento, e sulla diffusione della stampa quotidiana nelle aree remote del Paese.

Quanto alla legge sui piccoli comuni, questa ha avuto un iter molto elaborato, durato ben 16 anni e 4 legislature a partire dal 2001. Ogni volta è stata firmata da centinaia di parlamentari e leader politici, ogni volta è stata approvata con voto plebiscitario da almeno una delle due Camere, ogni volta però si è arenata, tranne che nel 2017, a pochi mesi dallo scioglimento delle Camere; ma anche lì si è riusciti ad approvarla solo perché il Senato ha rinunciato del tutto alla sua prerogativa di modificare il testo, approvandolo come quello, appunto, arrivato dalla Camera. Vorrei portare all’attenzione dei colleghi un dato: nei quattro anni, dal 2013 al 2017, in cui è stata discussa la legge sui piccoli comuni, il rapporto tra popolazione dei piccoli comuni e il totale nazionale è sceso dello 0,8 per cento – tanto per far capire l’urgenza del problema – cioè di quasi 500 mila abitanti. Per sostenere le nostre tesi riguardo alla strategia necessaria per affrontare il problema nelle aree interne e montane, nella nostra mozione procediamo a due tipologie di disamina. La prima: di cosa stiamo parlando? I piccoli comuni, cioè quelli con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, in Italia sono 5.498, su un totale di 7.914; siamo al 69,5 per cento e vi risiedono – questi sono dati Istat – poco meno di 10 milioni di abitanti, cioè il 16,3 per cento della popolazione. Secondo l’indagine “piccoli comuni” di Legambiente e ANCI, realizzata dall’istituto per la finanza e le economie locali, i piccoli comuni sono custodi di gran parte dei tesori, delle identità e delle tradizioni italiche. Il 94 per cento dei piccoli comuni, infatti, presenta almeno un prodotto a denominazione di origine e la maggior parte ne presenta più di uno. Dire piccoli comuni in Italia significa dire comuni montani. Sulla base della definizione di zona montana oggi vigente in Italia, sono totalmente montani 3.460 comuni, cioè con territori con un’altitudine media attorno ai 500-600 metri di altezza. I comuni integralmente montani coprono il 48 per cento della superficie nazionale e il 13 per cento della popolazione. C’è un passaggio, che è importante, perché il primo e principale appunto che si può fare alla legge sui piccoli comuni è che si tratta di una legge senza soldi. In effetti, per una legge che interessa 5.500 comuni e 10 milioni di cittadini, costruire una dotazione, chiamata con l’altisonante nome di fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni, di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2023 serve alquanto a poco; siamo a circa 2,5 euro a testa per ciascuno dei 10 milioni di cittadini interessati. Non erano questi i contenuti dei testi approvati nel 2015-2016 dalle due Commissioni incaricate (Affari costituzionali, e Bilancio della Camera).

Erano, infatti, previsti un fondo per incentivare la residenza nei piccoli comuni, di 20 milioni, e un fondo di sviluppo strutturale di 40 milioni per due anni. Inoltre, era previsto un piano di sviluppo dei territori rurali con oneri a carico dei fondi UE. In più, nelle proposte della Commissione era contenuto un terzo fondo per il recupero e la riqualificazione dei centri storici, 50 milioni di euro per due anni. In totale, quindi, faceva di 115 milioni di euro, ma poi sono intervenute le esigenze di finanza pubblica, messe nero su bianco dalla Ragioneria generale dello Stato. In sostanza, è accaduto che la politica fatta di istanze, di progetti, di obiettivi e persino di sogni, questa politica espressa dai parlamentari eletti dal popolo, si è scontrata con la Realpolitik, con la politica fatta di conti, di vincoli comunitari e di norme già approvate e da rispettare, espressa dal Governo e non sto parlando di un Governo di un certo colore politico, sto parlando di tutti i Governi che si sono succeduti dal 2017 in poi. Sono passati oltre due anni dalla data di entrata in vigore della legge sui piccoli comuni; una ricognizione da noi effettuata tramite l’ANCI rileva che i decreti attuativi della legge n. 158 del 2017 non risultano emanati; sullo stato dell’iter non ci sono notizie aggiuntive, sebbene si fossero avviati alcuni tavoli tecnici lo scorso anno, così ci è stato risposto.

Nella nostra mozione elenchiamo i provvedimenti attuativi che mancano: manca il Piano nazionale per i piccoli comuni, mancano i criteri per la salvaguardia e il mantenimento dei servizi essenziali, manca il piano per l’istruzione destinato alle zone rurali e montane; inattuate risultano anche altre previsioni di sviluppo territoriale, quali la realizzazione di circuiti e itinerari turistico culturali ed enogastronomici. La legge n. 158 del 2017 stabiliva che entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore, ossia entro il 17 marzo 2018, con decreto interministeriale, fossero indicati i parametri necessari per la determinazione delle tipologie dei piccoli comuni che possono accedere alle risorse del Fondo per lo sviluppo strutturale. Insomma, non sappiamo nemmeno come siano stati declinati i criteri per stabilire chi accede ai finanziamenti.

Vado agli impegni, saltando una parte del mio intervento, perché credo che questa introduzione sia sufficiente per delineare la nostra posizione, e delineo gli interventi della nostra mozione che sono: a dare piena attuazione alla legge n. 158 del 2017, poc’anzi menzionata, dotandola di risorse adeguate; a prevedere la costituzione di fondi per incentivare la residenza nei piccoli comuni, anche mutuando le esperienze regionali già in corso, ne ho parlato all’inizio dell’illustrazione; a valutare la possibilità di istituire zone montane a fiscalità di vantaggio, sulla base del grado di marginalità, del rischio di desertificazione economica e commerciale e del calo demografico nell’ultimo quinquennio, questo passaggio dovrebbe essere valutato dalla politica con estrema attenzione perché è uno degli aspetti del possibile rilancio nelle aree montane; a definire misure compensative, riconoscendo la funzione di salvaguardia delle aree di ricarica, di cui all’articolo 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché di gestione degli equilibri territoriali e di prevenzione del dissesto idrogeologico, svolta dai cittadini, dagli operatori economici e dalle comunità insistenti nelle aree montane; a rafforzare la tutela del paesaggio nelle aree montane, non solo come elemento necessario alla qualità della vita dei cittadini, ma anche come corretta interazione tra attività antropiche e ambiente naturale, anche valutando l’utilizzo, a tale scopo, di parte delle risorse previste per il Green New Deal dalla legge di bilancio per il 2020; ad adottare misure volte a consentire la sollecita erogazione delle risorse, a valere sui fondi assegnati ai Piani di sviluppo rurale, PSR; a introdurre specifiche misure di welfare, queste sono essenziali riguardo alla sanità, ai trasporti, all’istruzione e ai servizi pubblici, per le aree montane del nostro Paese. Poi, al fine di ridurre il divario infrastrutturale e le distanze fisiche con le altre aree del Paese, la mozione impegna il Governo: a prevedere che l’Agenda digitale in corso di attuazione comprenda un capitolo “montagna”, tramite il quale sia data priorità, nella posa della banda ultralarga, alle aree “bianche” montane e periferiche, anche in attuazione dell’articolo 8 della legge n. 158 del 2017; a introdurre specifiche ed efficaci misure che devono essere volte a favorire la ricomposizione fondiaria, a ridefinire il compendio unico in agricoltura, di cui all’articolo 5-bis del decreto legislativo n. 228 del 2001, a consentire il recupero degli immobili, dei terreni e dei pascoli abbandonati – una stragrande maggioranza degli immobili abbandonati si trova nelle aree montane e, allo stato attuale delle cose, non è recuperabile -, a riconoscere la multifunzionalità delle aziende agricole insediate nelle zone montane. Per finire, a redigere un testo unico delle leggi sulla montagna, in cui siano raccolti le disposizioni e i fondi ad essa riferiti, coordinandoli con le strategie di intervento economico e ambientale in corso di attuazione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Tondo. Ne ha facoltà.

RENZO TONDO (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie, signor Presidente. Io innanzitutto ringrazio i partiti, i gruppi e i colleghi che hanno presentato queste mozioni, ma siccome ho sufficiente esperienza sia di Aule parlamentari che di aule assembleari, so che le mozioni se non sono tradotte in leggi e in fatti concreti rimangono elementi di interessante dibattito, ma non forniscono risposte ai problemi. Io dico subito che il nostro gruppo le giudica favorevolmente tutte e quattro, ma il tema sarà, poi, come dirò in conclusione di questo breve intervento, riuscire a trasformare questi intendimenti positivi che tutti abbiamo in fatti altrettanto positivi.

Le quattro mozioni propongono un’analisi corretta e una fotografia veritiera del tema della montagna, un tema su cui c’è stata scarsa attenzione, pur riguardando, come è stato detto, il 55 per cento del territorio italiano; una considerazione che è stata scarsa, ma credo che sia sbagliato non solo per noi, io sono di quelli che vivono in montagna, ma anche per tutti gli altri, ricordiamoci che quando un fiume – il collega Borghi lo sa – esonda in montagna, certamente cala un argine, ma soprattutto poi l’esondazione ce l’abbiamo in pianura; quando il Tagliamento va fuori chi soffre è Latisana, non è Tolmezzo.

Ecco, io vengo da una regione, il Friuli-Venezia Giulia, come ricordava poc’anzi il collega Novelli, che ha metà del proprio territorio interamente montano; la nostra Carnia, che è un po’ il territorio di 28 comuni, è passata in pochi anni, negli ultimi vent’anni, da 50 mila a 30 mila abitanti e credo che sia una situazione diffusa in tutto il territorio montano. Ecco, io credo di poter dire di conoscere bene queste realtà, sia come sindaco, che ho fatto, sia come presidente di una regione che ha il territorio montano; ma, soprattutto – ed è quello che mi interessa sottolineare oggi – portare la voce di chi vive e fa impresa in montagna; io sono uno di quelli che ha l’onore e l’onere di fare impresa in montagna, avendo delle attività economiche lì, e credo di poter dire con assoluta consapevolezza che non c’è stata, in quest’Aula, negli anni passati, la comprensione di quanto fosse importante il problema. Vivere in montagna, capire cosa vuol dire vivere in montagna vuol dire stare attenti alla qualità della vita, alla qualità dei servizi, alle opportunità di lavoro e di crescita per chi vive lontano dai centri urbani. Facciamo qualche esempio: cosa vuol dire avere un ospedale a due ore di auto? Cosa significa percorrere strade montane per recarsi al lavoro, anche in pieno inverno? Proprio ieri una ragazza della mia comunità è uscita di strada per il terreno ghiacciato e si è rotta l’osso del collo, in un paese della Carnia. Cosa vuol dire non avere la connessione Internet, cosa vuol dire non poter usare in certi comuni il cellulare, cosa vuol dire per i nostri figli alzarsi un paio d’ore prima per raggiungere la sede in cui studiano, cosa significa dover spendere una parte del territorio per riscaldare la casa, a differenza di altri, cosa significa non trovare una pompa di benzina, cosa significa la non possibilità di rifornirsi del cibo o della materia prima se non a qualche chilometro di distanza, cosa significa non ricevere la posta, cosa significa per chi è credente non avere un prete a cui rivolgersi, quando ci sono momenti di sconforto, nelle vicinanze, sono solo alcuni degli esempi di difficoltà che le popolazioni di montagna devono affrontare e ai quali non corrispondono altri vantaggi di nessun tipo, perché la situazione è sempre sfavorevole. Pensiamo a qualche altra cosa, ad altri esempi: il registratore di cassa anche per il bar di paese che fa un servizio sociale, ci sono bar nelle nostre Alpi, nei nostri Appennini che se incassano 100 euro al giorno sono tanti, eppure devono comprarsi il registratore fiscale, adesso avete messo anche la fattura elettronica; ma vi rendete conto cosa significa per un boscaiolo che deve tagliare degli alberi fare la fattura se si trova in quota dove non arriva neanche Internet?

Non parliamo poi dei parametri quantitativi: cosa significa raggiungere il minimo di studenti per aprire una scuola, una classe, che dovrebbe essere diverso dal resto; cosa significa l’appesantimento burocratico che aggrava ogni azione che il sistema montano pretende.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RENZO TONDO (M-NI-USEI-C!-AC). E allora… Chiedo un attimo solo, Presidente. Voglio essere operativo: mi rivolgo al collega Borghi, che è vicepresidente di gruppo di un partito che ha presentato la prima mozione, che è un partito importante e soprattutto sta al Governo. Io non faccio grandi filosofie, avanzo alcune piccole proposte concrete: è evidente che alla fine si tratta di un diverso regime fiscale e diversa legislazione. Pensiamo alla frammentazione della proprietà: abbiamo territori che sono divisi, in cui i proprietari non possono più far nulla e non fanno nulla, non sanno neanche di averla. Immaginiamo almeno di poter togliere le tasse di registro, l’IMU, tutte le tasse per chi dona al comune, all’ente pubblico la propria proprietà: sarebbe già un vantaggio poterla usare come una proprietà pubblica, non costerebbe niente se non dare la possibilità a qualcuno di cedere la propria proprietà senza dover andare dal notaio. Pensiamo alla manutenzione delle seconde case: se esentiamo dall’IMU chi ha la seconda casa e la mette a posto avremo un patrimonio in montagna che recuperiamo, e pensiamo alla possibilità che hanno di dar lavoro a molte imprese.

Per il resto – e concludo, Presidente Rosato – pensiamo a un amministratore della Carnia che ha fatto un grande lavoro: non solo a Michele Gortani di cui so parlerà qualcun altro dopo, ma al senatore Carpenedo, che nelle Aule parlamentari propose, all’interno della legge n. 97 del 1994, il regime fiscale forfettario per le piccole attività commerciali. Ebbene, quella legge fu proposta ma non passò: non passò perché la burocrazia si pose di traverso e l’ufficio delle entrate impedì che si introducesse un regime forfettario per coloro i quali hanno attività economiche in montagna (penso al piccolo bar, alla piccola merceria). Allora, io sono un realista, sono uno che ha la cultura di governo, quindi non vado a dire: facciamo mille cose impossibili; facciamo quelle possibili, io ne ho segnalate alcune: proviamo, sottosegretario, Ministro, a lavorare su questo, a quelle cose che si possono fare. Ce n’è già tante, e se già facessimo quelle faremmo già un bel passo avanti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Perconti. Ne ha facoltà.

FILIPPO GIUSEPPE PERCONTI (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, supportare le aree interne italiane, che rappresentano il 52 per cento dei comuni, il 22 per cento della popolazione e circa il 60 per cento della superficie territoriale, significa avviare un piano di progetti condiviso che possa dare risposte a tanti comuni italiani, che necessitano di finanziamenti e risposte concrete. La legge di bilancio 2020 ha incrementato di 200 milioni di euro, di cui 60 milioni per il 2021 e 70 milioni per ciascuno degli anni 2022 e 2023 per le risorse nazionali destinate alla Strategia nazionale per lo sviluppo delle Aree interne del Paese, a valere sul Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie. Io personalmente insieme ad altri colleghi, qualche mese fa, ho costituito un intergruppo parlamentare a cui hanno aderito una trentina di colleghi, che già ha preso un appuntamento con il Ministro per il Sud e la coesione territoriale, che ha richiesto di parlare con ANCI, con la Conferenza Stato-regioni, che vuole approfondire i meccanismi di questa strategia, che ha degli obiettivi convergenti a questa mozione.

Questa mozione si basa su due principi fondamentali su cui si fonda il nostro ordinamento: sicuramente l’articolo 44 della Costituzione italiana, che vincola il legislatore al rispetto di due obiettivi principali, quali il conseguimento di un uso razionale del suolo e la realizzazione di rapporti sociali più equi; e l’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che dispone tra le altre cose che l’Unione miri a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate un’attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Gli obiettivi della Strategia si muovono proprio in questa direzione, per focalizzare l’attenzione del legislatore su territori che devono tornare ad essere una questione nazionale. È un asse importante per il rilancio del Paese: migliorare l’uso delle risorse naturali, del patrimonio culturale e dei saperi locali; aumentare il benessere delle popolazioni interessate, garantendo i cosiddetti diritti di cittadinanza; nonché ridurre i costi sociali della deantropizzazione, ossia il dissesto idrogeologico, il degrado dei paesaggi, la perdita di conoscenze e tradizioni e del capitale edilizio in disuso. Con questa mozione si impegna testualmente il Governo a: stanziare in base a criteri di premialità ulteriori incentivi e risorse economiche, a valere sull’attuale ciclo di programmazione, nonché sul prossimo 2021-2027, a favore delle aree già individuate dalla Strategia che si siano distinte per la messa in atto di pratiche virtuose nell’attuazione degli obiettivi; porre in essere tutte le attività necessarie per rafforzare la governance del comitato tecnico; avviare con urgenza le dovute procedure per adeguare la legislazione vigente, al fine di agevolare da parte della popolazione residente il godimento di servizi primari, quali le scuole e gli ospedali; adottare le iniziative necessarie per incentivare nell’ambito della Snai lo sviluppo di una governance multilivello, che ampli il coinvolgimento delle amministrazioni a livello locale, fornendo alle stesse maggiori risorse per l’ampliamento delle tecnostrutture territoriali; sostenere l’ulteriore sviluppo delle aree interne, rendendo la Snai una politica organica tesa ad ampliare l’attuale numero limitato di aree per regione, avviando un processo di apprendimento e replicazione dei meccanismi virtuosi riscontrati.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Bubisutti. Ne ha facoltà.

AURELIA BUBISUTTI (LEGA). Presidente, il mio intervento sarà un po’ particolare, lo ha preannunciato anche il collega Tondo. Io vengo da una regione, il Friuli-Venezia Giulia, che ha dato i natali a un personaggio importante, importantissimo, e che con orgoglio oggi vorrei ricordare: Michele Gortani. Michele Gortani è stato, direi, la persona che più ha creduto nella necessità di inserire in Costituzione… Lui faceva parte dell’Assemblea costituente, faceva parte della DC, e ci teneva moltissimo a che la montagna avesse dignità costituzionale. Ci sono state due giornate importantissime, il 13 e 14 maggio del 1947, quando il senatore Gortani ha presentato un emendamento; e abbiate la pazienza di ascoltarlo, perché ne vale veramente la pena. Io ho voluto ricordarlo soprattutto perché ritengo che ripercorrendo quegli anni, e soprattutto la nostra storia, quando andremo a porre delle norme e a fare delle scelte, forse ci ricorderemo degli errori commessi durante il percorso, ma soprattutto ci ricorderemo dell’importanza che la montagna ha per questo territorio nazionale.

Gortani diceva nel suo intervento (il Presidente dell’Assemblea era Segni): “Onorevoli colleghi, vi è in Italia una regione che comprende un quinto della sua popolazione, che si estende per un terzo della sua superficie e in cui la vita di tutti i ceti e categorie si svolge in condizioni di particolare durezza e disagio in confronto con il rimanente del Paese. Questa regione non ha confini, non ha confini geografici ben definiti, ma si estende ampiamente nella cerchia alpina, si allunga sulle dorsali appenniniche e si ritrova nelle isole maggiori: risulta dall’insieme delle nostre zone montane. È una regione abitata da gente laboriosa, parsimoniosa, paziente e tenace, che in silenzio lavora ed in silenzio soffre tra avversità di suolo e di clima; che rifugge dal disordine, dai tumulti e dalle dimostrazioni di piazza, e ne è ripagata con l’abbandono sistematico da parte dello Stato. O meglio, della montagna e dei montanari lo Stato si ricorda di regola e si mostra presente per imporre vincoli, esigere tributi o prelevare soldati.

Matrigna la natura, al nostro montanaro è matrigna la patria; tuttavia è pronto, così per la patria come per la natura, la nativa montagna, a sacrificare ove occorra anche se stesso. Perché la montagna è la sua vita, è la sua patria, la sua ragione di vivere, e in lei non ancora perduto la sua fiducia: facciamo che non la perda ora.

Ad ora ad ora, voci si sono levate in favore della montagna, voci altruiste, reclamanti giustizia e voci utilitarie, reclamanti la restaurazione montana come fonte di pubblico bene. Ma le une e le altre sono cadute o nell’indifferenza, o nell’oblio. E intanto le selve si diradano, inselvatichiscono i boschi, cadono le pendici in crescente sfacelo, le acque sregolate rodono i monti e alluvionano e inondano le pianure e le valli. Intristiscono i villaggi, a cui non giungono le strade, né i conforti del vivere civile. La robustezza della stirpe cede all’eccesso delle fatiche e delle restrizioni e la montagna si isterisce e si spopola.

Noi chiediamo che nella Carta costituzionale, dove sono le norme ispirate all’amore e alla giustizia, ci sia anche una parola per lui. Da qui nasce l’ultimo paragrafo dell’articolo 44 della Costituzione. Devo dire che in tutti gli articoli non si fa menzione ai territori, solo in questo caso.

Negli anni successivi tante risorse sono state date alla montagna, soprattutto con la legge n. 991 del 1952, se vi ricordate ciò è stato per dieci anni e prorogato per altri dieci anni; ma anche questo non ha portato a soluzioni sperate e nasce, nel 1971, la legge che voi conoscete molto bene, Borghi in particolare, mi pare, l’ha seguita per tanti anni, la legge sulle comunità montane. È stata una legge rivoluzionaria per certi aspetti, perché in questo caso si dà potere ai montanari, si dà responsabilità i montanari e si mette in evidenza la gente della montagna.

Perché non ha funzionato la comunità montana? Per tante ragioni, a mio modo di vedere: innanzitutto, per le esigue risorse, ma anche perché aveva messo in campo una multidisciplinarietà per cui i contorni erano abbastanza labili e generali, ma anche perché i comuni che ne facevano parte non erano riusciti, o non sono mai riusciti, a vedere nella comunità montana l’ente che li rappresentava tutti e in qualche modo anche con la paura di perdere potere. Questa è una delle ragioni.

La mia regione, quando alla guida era la presidente Serracchiani, ha deciso di modificare la norma sulle comunità montane e costituire le UTI, le unioni territoriali. Io credo che sia stata una legge sbagliata: sbagliata perché non ha tenuto conto della diversità dei territori, non dimentichiamo che sempre l’onorevole Serracchiani ha tolto le province, il Friuli-Venezia Giulia non ha più le province. Tolte le province, di fatto, sono state costituite diciotto UTI che, non avendo neppure l’elezione diretta, erano degli istituti che tutto sommato non rispondevano a quelle che erano le esigenze del territorio. Oggi la giunta Fedriga ha cambiato quella legge, l’ha cambiata nella misura in cui, rispetto all’imposizione della legge sulle UTI, la nuova legge prevede che i comuni, di comune accordo o comunque in libertà, decidono di mettersi insieme. Io credo che questo sia un buon passo, ma non basta. Io credo che, come è stato detto qui da più parti, la montagna oggi non può essere vista come una riserva indiana, e molto spesso lo abbiamo fatto. La montagna, e qui è stato detto più volte, è una risorsa, ma, permettetemi di dirvi, molto spesso l’abbiamo usata. Faccio un parallelismo con la madre e il padre con i figli: abbiamo cresciuto i figli in modo diverso, chi ha deciso di crescerli responsabilizzandoli, dando loro la strada per poi lasciarli andare e trovare loro le capacità e i mezzi per muoversi e per crescere nella maniera giusta; ci sono genitori che, invece, sono stati genitori che non hanno permesso a questi di crescere e, quindi, hanno fatto un percorso completamente diverso. Ecco, io penso che molto spesso l’errore che abbiamo fatto, sia come Stato che come regioni, è stato quello di aver visto la montagna, le montagne, più come qualche cosa da aiutare, cioè ci siamo sostituiti alle popolazioni, a quei territori, e non abbiamo dato loro la possibilità di muoversi in maniera autonoma e diversa.

Per quanto possa sembrare una semplificazione, personalmente ritengo – anche perché ho vissuto una vita in montagna, so cosa significa vivere in montagna, so quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi – che oggi bene abbiamo fatto a presentare le mozioni, bene stiamo facendo nel dire quello che serve, ma io credo che, se non decidiamo che la montagna ha bisogno di coraggio soprattutto da parte nostra… Io, in questi giorni, ho visto alcune persone, la scorsa settimana sono stata in una frazione piccolissima, peraltro ristrutturata in maniera incredibile, bellissima, di un paese di montagna pochissimi abitanti, dove l’unico negozio aperto era di una signora, anche di una certa età, l’onorevole Tondo parlava di 100 euro al giorno incassati, lei mi parlava di 10 euro al giorno. E allora mi chiedo: se la montagna è un valore, a queste persone dobbiamo dare dei premi perché rimangano sul territorio.

Ho incontrato, ieri l’altro, un ragazzo, un giovane agricoltore che ha vinto il premio nazionale Oscar Green, promosso dalla Coldiretti: voi non avete idea di cosa significhi fare gli agricoltori, soprattutto giovani, in montagna. Bene, questo giovane ha chiesto un contributo e non gli è stato dato perché, da 70 mila euro che chiedeva, doveva presentare una denuncia dei redditi di 220 mila euro. Quindi capite che questo è impossibile.

Potrei parlarvi del sindaco di Venzone. Molti di voi sanno cos’è Venzone, sabato abbiamo ricordato Zamberletti e soprattutto abbiamo visto quello che Venzone ha fatto, il museo sul terremoto; e parlando con il sindaco, il sindaco mi dice: quando arrivi in Aula, per favore, meno burocrazia, non chiediamo soldi, noi chiediamo la possibilità di poter lavorare senza essere sommersi da carte.

Ecco, io ho fatto questi due esempi, ma potrei farne altri. La montagna, è vero, si sta spopolando, ma è vero anche che in montagna si stanno togliendo molti servizi. Cinque anni fa, da noi, è stato chiuso il tribunale, stiamo facendo qualsiasi cosa per poterlo riaprire. Il tribunale di Tolmezzo era un tribunale importante, a Tolmezzo abbiamo un carcere di massima sicurezza, c’erano tutte le condizioni perché quel tribunale rimanesse sul territorio. Abbiamo avuto gli Alpini e, voi sapete, se ne sono andati anche gli Alpini. Allora, io dico: piano piano togliamo tutto alla montagna, cerchiamo di trovare delle compensazioni da dare a questa montagna.

Io credo che una società civile non possa, di fronte a due aspetti importanti, la scuola e la sanità, ridurre tutto a dei numeri. Faccio un esempio: noi abbiamo il punto nascita: punto nascita che, secondo le norme, dovrebbe avere un certo numero di nascite; ne abbiamo un po’ meno, rischiano di perderlo.

Questo significa che i paesi della montagna friulana, quando succede qualcosa, devono fare 100 chilometri per andare in un ospedale. Allora, io credo che non ci servono voli pindarici, come ha detto l’onorevole Tondo; bastano poche cose, perché il montanaro è abituato a vivere in montagna. Sentivo prima che i ragazzi devono partire presto la mattina: tutti noi siamo partiti presto la mattina e siamo qui, siamo persone normali, abbiamo studiato, siamo usciti, siamo andati all’università, e ricordiamo con piacere e con nostalgia quei tempi. Quindi credo che il montanaro non lo si possa paragonare all’uomo di città; il montanaro vuol vivere la montagna, però la vuole vivere, come dicevamo, come tutti gli altri, con le stesse opportunità degli altri. Noi non abbiamo paura di fare fatica, non abbiamo paura a muoverci; ci muoviamo continuamente, però credo che i servizi siano fondamentali. Penso, per esempio, al vivere in montagna.

I nostri anziani, sembrerebbe una cosa strana, però rimangono in casa finché possono, le famiglie li tengono in casa finché possono, e questo è importantissimo. In montagna si vive anche e ancora di solidarietà, da noi ci sono moltissime associazioni. La montagna mai deve diventare qualcosa che non è, però noi abbiamo il compito e il dovere di credere e pensare che la montagna sia un valore; e allora, se la montagna è un valore, noi dobbiamo buttare l’ostacolo oltre e avere il coraggio. Dicevo prima, non bastano le mozioni, bisogna finalmente avere il coraggio di fare delle norme che vanno oltre. È vero, la defiscalizzazione è importantissima: la legge n. 97 purtroppo è stata bloccata, è stata una bellissima legge. Noi abbiamo creduto moltissimo in quella legge, poi si è bloccata, come diceva l’onorevole Tondo.

Bene, credo che tutte queste mozioni siano condivisibili, tutte, ma non devono fermarsi nelle parole, ma devono andare oltre, bisogna fare i fatti. Mi auguro davvero che alla fine di questa legislatura possa uscire una legge di cui andare orgogliosi.

Vi ho parlato di Michele Gortani e Michele Gortani spero che sarà orgoglioso di questi carnici, di questi friulani che oggi sono qui a parlare. Siamo qui a parlare perché ci teniamo moltissimo alla montagna, ma sappiamo anche che oggi abbiamo un dovere e non possiamo tirarci indietro.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Muroni. Ne ha facoltà.

ROSSELLA MURONI (LEU). Grazie, Presidente. Finalmente con questa mozione, che per la maggioranza è a prima firma dell’onorevole Enrico Borghi, che ringrazio, e sottoscritta per LeU anche dal nostro capogruppo Fornaro, il Parlamento torna a parlare di aree rurali, montane e periferiche, di aree interne e piccoli comuni. Lo fa, Presidente, sulla base della nostra Costituzione, che prescrive un uso razionale del suolo, la realizzazione di rapporti sociali equi e prevede che la legge disponga provvedimenti a favore delle zone montane, perché la tutela di queste aree ha un carattere di interesse nazionale; e lo fa per chiedere la promozione di uno sviluppo equilibrato e sostenibile, per chiedere che la salvaguardia di questa Italia cosiddetta minore sia considerata per quello che è: uno straordinario potenziale di benessere per tutto il nostro Paese.

Dicevo, si torna a parlare di questa parte del Paese dopo la legge sui piccoli comuni, la n. 158 del 2017, a prima firma di Ermete Realacci. È stato ricordato, una legge che ha avuto 16 anni di cammino, una legge in larga parte ancora da attuare, ma che intanto ha significato per tanti piccoli centri del nostro Paese il mantenimento di servizi essenziali, quali presidi postali, e ha dato nuovi strumenti di tutela e sviluppo agli enti locali.

E dove le istituzioni sono state più attente e sensibili al tema e hanno saputo cogliere le opportunità della legge, come la regione Lazio, che ha istituito un ufficio di scopo di piccoli comuni e contratti di fiumi, questa legge ha segnato anche una via possibile.

Occuparsi di aree interne montane e rurali significa mantenere quel presidio del territorio così importante nel contrasto al rischio idrogeologico, significa prendersi cura dei beni comuni, conservare campi produttivi, tenere vive le comunità, contrastare lo spopolamento. E ancora, significa serbare in buona salute i sistemi rurale e montano, che sono strategici nel fornire cibo, aria, acqua e materie prime. Da qui, insomma, passa un pezzo importante della cosiddetta green economy. Ma soprattutto perché i 5.552 piccoli comuni censiti al 1° gennaio 2017, il 69,7 per cento del totale delle nostre municipalità, rappresentano una caratteristica specifica e unica del nostro Paese, perché l’Italia dei borghi custodisce la nostra identità, un patrimonio storico, artistico e naturalistico prezioso e diffuso, i nostri talenti e le nostre eccellenze, e rappresenta una grande opportunità di benessere futuro, perché aiutare questa Italia è una scommessa sulle cose che rendono il nostro Paese unico.

Penso alla bellezza, al paesaggio, alla storia, alla coesione sociale, alla qualità della vita, al legame con i territori, alla creatività. Una scommessa che deve comprendere anche lo sforzo coordinato delle istituzioni per consentire anche a questa parte del Paese di usufruire delle opportunità offerte dall’innovazione tecnologica e dei servizi che si danno per scontati, invece, nelle aree metropolitane. Una visione che Legambiente ha portato avanti per anni insieme a tanti compagni di viaggio, associazioni, sindaci, comunità locali, e che questa mozione sposa in pieno. Nelle nostre aree interne, rurali e montane, i nostri piccoli borghi amministrano più della metà del territorio nazionale e producono tanta parte di quel made in Italy apprezzato nel mondo, vino e prodotti agroalimentari in primis; e sempre l’Italia cosiddetta minore è quella parte del Paese che sperimenta le buone pratiche più innovative in fatto di rinnovabili e comunità energetiche, economia verde, riciclo dei rifiuti, integrazione e resistenza sociale.

Si pensi ai nostri comuni 100 per cento rinnovabili, dove cioè il fabbisogno energetico dei residenti è soddisfatto al 100 per cento da fonti pulite; hanno nomi come Montieri, Badia, Prato allo Stelvio, Santa Fiora o Vipiteno, ossia piccole amministrazioni. Sono tante le storie di innovazione sociale e tecnologica, di integrazione e di turismo sostenibile, di economia circolare, rigenerazione edilizia e nuova imprenditoria verde che si incontrano nei piccoli comuni, come Fluminimaggiore, in provincia di Carbonia-Iglesias, 3 mila anime e molte case sfitte, dove è partito un progetto di welfare diffuso per gli over 65 attraverso la creazione di una cooperativa di comunità capace anche di produrre e distribuire rinnovabili, o San Lorenzo Bellizzi, in provincia di Cosenza, poco più di 660 abitanti, la cui amministrazione ha investito nel fotovoltaico e quasi due terzi degli edifici pubblici ospitano oggi impianti solari fotovoltaici e il comune ridistribuisce gli introiti del conto energia alla cittadinanza attraverso l’esenzione della TASI. Inoltre, con la vendita dell’energia prodotta sono stati già azzerati i tributi comunali destinati alla ristrutturazione degli immobili del centro storico.

Insomma, tante esperienze che fanno di questa Italia anche un racconto possibile di come sviluppare la green economy e comunità più forti e più coese. L’Italia dei borghi, insomma, offre numerose esperienze di innovazione che disegnano i contorni di un possibile cambio di passo verso un futuro di benessere e sostenibilità capace di disegnare un argine allo storico abbandono, invecchiamento e spopolamento dei piccoli centri, considerando che in questi luoghi si conta al 2030 un anziano ogni tre persone e tre anziani per ogni bambino, ma anche una casa vuota ogni due occupate. Solo il 15 per cento di quelle disponibili ospiterebbero 300 mila abitanti e le opere di adeguamento edilizio potrebbero valere 2 miliardi di euro nella rigenerazione e decine di migliaia di nuovi addetti.

Inoltre, utilizzando un quarto delle superfici coltivate e abbandonate negli ultimi vent’anni, avremmo 125 mila nuove aziende agricole di 12 ettari ciascuna, assecondando un già marcato ritorno all’agricoltura di eccellenza italiana. Per ragionare di futuro, la capacità di innovazione sociale, digitale e insediativa di questi territori è fondamentale e va accompagnata con serie politiche di sistema, come agevolazioni alle imprese locali di prossimità, all’impresa digitale e alla residenzialità. La stessa ispirazione, ossia fare di queste aree un elemento centrale nello sviluppo di tutto il Paese, coniugando tradizione e innovazione, si ritrova anche nella mozione approvata il 3 ottobre 2018 dal Parlamento europeo.

E però queste aree sono fragili, vivono difficoltà specifiche, e per questo vanno sostenute con strumenti specifici e cura particolare. Per fare un esempio, un quarto della popolazione rurale montana e delle aree interne non ha accesso a Internet ad alta velocità e ha grandi problemi a vedere la tv o ad ascoltare la radio, ma senza Internet non sarebbe mai stato possibile che un sarto di un piccolo comune, come Ginosa di Puglia, riuscisse a vendere le sue camicie artigianali fino in Giappone. Per questo la citata legge sui piccoli comuni prevede non solo misure per conservare ma anche misure per facilitare nuove forme di economia, puntando sulla banda larga, sul riuso del patrimonio urbanistico dismesso, su innovazione e qualità: tutti fattori che rendono più competitivo il tessuto produttivo. E per questi motivi, oltre che per evidenti ritardi nell’attuazione di questa legge, la mozione che oggi stiamo discutendo chiede che, attraverso l’azione del Governo e del Parlamento, l’Italia promuova lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni; che garantisca l’equilibrio demografico del Paese favorendo la residenza di cittadini e imprese nelle zone montane e rurali, attraverso impegni puntuali per il Governo. Ne sottolineo alcuni perché sono importanti. La mozione impegna, infatti, l’Esecutivo ad adottare le iniziative necessarie a realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato del Paese costruendo un quadro giuridico di sviluppo delle aree interne, rurali e montane, mediante specifiche politiche nazionali incentrate sulle esigenze di tali territori, puntando decisamente a un modello di sviluppo sostenibile basato sulla green economy. Il Governo dovrà poi costruire una strategia specifica per le aree interne, rurali e montane, a partire dalla convocazione degli stati generali della montagna e, sul modello di quanto già fatto per le aree urbane e metropolitane, si dovrà lavorare a livello europeo per la creazione, nel nuovo periodo di programmazione dei fondi di coesione 2021-2027, di un fondo per il finanziamento di politiche specifiche per le aree interne rurali e montane. L’Esecutivo dovrà essere capace di coordinare le politiche nazionali e quelle europee per garantire una crescita sociale ed economica intelligente, sostenibile ed inclusiva di questa parte del Paese; per promuovere l’inclusione sociale e la riduzione del divario digitale, la massima interazione tra i territori e in particolare tra aree interne e urbane. La mozione impegna, infine, il Governo ad attuare finalmente la legge 6 ottobre 2017, n. 158 approvando in tempi rapidi i relativi decreti attuativi; ad estendere la strategia nazionale per le aree interne a tutte le zone montane alpine e appenniniche italiane, individuando a tale fine fondi europei nazionali e regionali della programmazione 2014-2020 e un po’ in specifico sulla programmazione dell’Unione Europea 2021-2027. Per accelerare la capacità di spesa delle risorse disponibili si chiede un coordinamento tra i Ministeri competenti. L’Esecutivo ha anche il compito di adottare iniziative per individuare, già nella legge di bilancio 2021, una dotazione di 100 milioni per i prossimi cinque anni da destinare al Fondo nazionale per la montagna. Insomma questa è la strategia che il Governo dovrà perseguire per dimostrare che questo pezzo di Paese ha in sé le chiavi di un futuro sostenibile di qualità e soprattutto possibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole De Filippo. Ne ha facoltà.

VITO DE FILIPPO (IV). Grazie, Presidente. Presidente, Ministro, abbiamo sentito parole importanti in questa discussione oggi. Spero vivamente che il dibattito abbia una eco che si diffonda costantemente e permanentemente nella discussione pubblica del nostro Paese e non perché nato in una regione dei piccoli numeri, dei piccoli comuni, in un punto della storia e della geografia qual è il Mezzogiorno ma perché, come proverò brevemente a dimostrare, è un tema decisivo per lo sviluppo e per il futuro del nostro Paese.

Piccoli comuni e aree interne: se questi argomenti fossero declinati con superficialità apparirebbero immediatamente marginali nella discussione pubblica nel nostro Paese invece se facciamo attenzione, senza scomodare grandi storici senza scomodare grandissimi intellettuali della storia europea e anche nella storia italiana, senza scomodare Fernand Braudel, l’Italia è sicuramente un Paese che ha una storia di civismo urbano straordinario ma anche di grande ruralità. C’è stato un momento in cui la discussione pubblica nel nostro Paese, soprattutto nel secondo dopoguerra, ha visto contrapporsi visioni e anche economisti di grandissimo livello che hanno potuto approfondire questi argomenti. Nacque addirittura un vocabolario nuovo nella politica italiana: l’osso e la polpa, l’osso considerato proprio questa parte, questo territorio, questa parte del nostro Paese più interno, dislocato magari su una montagna, su una collina con difficoltà anche di relazione e di trasporti che hanno consentito per la verità come dirò a quelle comunità di conservare un giacimento di risorse straordinarie.

Ma è un tema decisivo perché, come è stato anche segnalato da qualcuno che mi ha preceduto, 5.488 comuni nel nostro Paese sono al di sotto dei 5.000 abitanti su 7.904, cioè il 69 per cento dei nostri comuni, non soltanto nel Mezzogiorno. Ci sono regioni come il Piemonte, come la Lombardia che hanno questa spalmatura demografica difficile e complessa. Possono essere classificate aree interne, nel nostro Paese, il 60 per cento delle aree del nostro Paese nelle quali vive almeno il 20 per cento della nostra popolazione. Bisogna mettere a sistema questo patrimonio e percepisco, con molta franchezza, che nella mozione non c’è soltanto una richiesta di impegni per il Governo. Mi sembra di capire e di sentire nella mozione della maggioranza una sfida soprattutto culturale: non sono solo finanziamenti per le aree interne; non sono soltanto risorse aggiuntive e nuovi investimenti, che sono sicuramente straordinari; bisogna combattere contro una potentissima lobby. Il Ministro in alcuni momenti ha citato esattamente questo ingrediente culturale che esiste nel nostro Paese. Bisogna sfidare, come dire, alcune lobby geografiche che hanno sottratto la possibilità di uno sguardo e di una visione nuova verso questi giacimenti culturali, dove biodiversità, storia, cultura sono assolutamente rilevanti. Quando abbiamo la capacità di riconoscimento di queste risorse, di essere riconoscenti anche verso queste risorse, scattano miracolosi avventure di sviluppo. Credo che in questo senso Matera Capitale della cultura è anche un po’ Capitale della Cultura e capitale della storia delle aree interne. Sono molte volte Paesi, come ha detto un noto poeta e paesologo, sono Paesi fuori forma; hanno bisogno di allenatori questi Paesi, dice Arminio, hanno bisogno di persone che in qualche modo, come veri e propri rabdomanti, sappiano in qualche modo risvegliare le grandi qualità, le grandi risorse e i grandi patrimoni che sono presenti in queste parti del nostro Paese. La mozione della maggioranza puntualizza con molta precisione quello che bisogna fare nei prossimi anni. Innanzitutto confermare nella programmazione 2021-2027 ancora risorse aggiuntive; estendere, come è stato anche annunciato e anche per una parte fatto nell’ultima legge di bilancio, la strategia delle aree interne ad altri territori; attivare con più precisione un coordinamento dei Ministeri sulla materia. Negli anni precedenti i Ministeri delle Politiche sociali e della Sanità hanno partecipato non sempre da protagonisti; invece i settori e gli ambiti delle politiche sociali e della sanità possono dare un contributo straordinario in termini di servizi di vivibilità in questi territori; è necessario favorire un patto fra i piccoli comuni; attivare misure sempre più importanti e decisive per rianimare il turismo rurale e l’agriturismo; continuare, come è stato fatto, sui benefici fiscali per chi vive in queste aree, per chi investe in queste aree, per chi intraprende iniziative commerciali, artigianali, imprenditoriali in queste aree. Vorrei dire al Ministro che abbiamo una positiva coincidenza in questa fase. Come è noto la strategia nazionale delle aree interne non partì in maniera simultanea nel precedente ciclo di programmazione. Ci fu uno scarto temporale che ha determinato anche un effetto di programmazione un po’ spiazzato, diciamo così, che ha determinato anche un’implementazione dello stesso strumento in maniera difforme nel nostro Paese.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

La simultaneità della programmazione 2021-2027 ci potrebbe consentire di affinare tale procedura. Bisogna – concludo – intervenire meglio e di più nei prossimi anni soprattutto sulla governance di queste organizzazioni che sono quelle delle aree interne. Nonostante il CIPE abbia deliberato varie volte procedure anche di semplificazione, credo che si senta, per chi è stato in mezzo a quei territori e ha discusso e ha parlato con quegli amministratori, quanta esigenza manifestano questi amministratori per una governance più leggera, più veloce e più efficace, che consenta ancora di più di fare investimenti importanti nei settori della scuola, dei trasporti e della sanità, che sono sicuramente rilevanti e che consentiranno a quei territori di dare quel contributo di sviluppo e di futuro al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Mura. Ne ha facoltà.

ROMINA MURA (PD). Grazie, signor Presidente. Veniamo da mesi complicati in cui la nostra attività parlamentare è stata concentrata a tamponare tutta una serie di emergenze. Avevamo il dovere – e lo abbiamo fatto – di scongiurare l’aumento dell’IVA, che sarebbe stato un macigno sulle prospettive del Paese e ancora di più lo sarebbe stato su territori marginali e fragili come quelli di cui stiamo discutendo questo pomeriggio. Ritengo, però, che nella seconda parte della legislatura, che di fatto prende avvio e prenderà avvio, insomma, in questi mesi, a partire da subito dovremmo riprendere il lavoro che avevamo avviato nella precedente legislatura al fine di definire il contesto e, aggiungo, di scrivere un progetto di Paese in cui il nostro capitale territoriale, tutto il capitale territoriale, possa concorrere a pieno e complessivamente a un percorso di sviluppo di qualità equilibrato, orientato a valorizzare e a preservare la nostra biodiversità ambientale, sociale e territoriale e a contribuire, in tal senso, agli obiettivi europei e internazionali in materia di clima e, più in generale, di sostenibilità.

La consapevolezza che quanto faremo a partire da qui, a partire da noi, determinerà lo scenario futuro e disegnerà le opportunità delle giovani generazioni deve indurci a scelte convinte, forti e strutturali nella direzione di uno sviluppo territoriale in cui la transizione produttiva ed energetica, quella relativa alla mobilità, le trasformazioni in materia di consumi e alimentazione, le abitudini del vivere e dell’abitare le nostre città, come i nostri piccoli borghi, divenga l’opportunità per il rilancio di ogni angolo di Paese, con particolare attenzione ai luoghi di cui stiamo parlando questa sera, i piccoli comuni, le aree rurali e le aree montane, le aree interne, le quali – e ricordiamolo, perché questo è un dato numerico che rappresenta l’importanza di queste aree per il territorio – rappresentano il 60 per cento del nostro territorio nazionale, oltre il 50 dei nostri comuni e in cui vive il 22 per cento della popolazione italiana, le cui potenzialità rimangono a tutt’oggi parzialmente espresse e che, statistica dopo statistica, risultano sempre più abbandonate e spopolate.

E, allora, con la nostra mozione, con primo firmatario il collega Enrico Borghi, proviamo a dare un contributo di idee sì, ma soprattutto a indicare una direzione e a chiedere che si imprima una netta accelerazione per l’attuazione di tutta una serie di misure, molte delle quali sono già in vigore e penso, in particolare, alla legge n. 158 approvata nel 2017, legge che deve essere attuata. Noi, nel corso di questa legislatura e più volte anche col precedente Governo, siamo intervenuti per chiedere l’attuazione dei decreti che l’avrebbero resa – come dire – vera e impattante sui processi e oggi confermiamo quella richiesta all’attuale Governo e al Ministro di attuare i decreti, perché in quella legge ci sono tutta una serie di misure che possono iniziare un percorso virtuoso, perché oltre a, come dire, disegnare nuovi trasferimenti di risorse lì dentro c’è un progetto di Paese che va attuato e messo in cantiere.

Chiediamo, poi, il rafforzamento della strategia delle aree interne e lo ha detto bene il collega De Menech. Le 72 aree pilota che sono in corso di svolgimento dimostrano che quel modo di intervenire sulle aree interne è un modo che funziona. Allora, facciamolo il salto di qualità, passiamo dalla sperimentazione agli interventi strutturali, affinché quello diventi il metodo d’intervento nelle aree interne con un piano pluriennale di interventi e di finanziamenti, con risorse dedicate nei bilanci, così come abbiamo già iniziato a fare anche nell’ultima legge di bilancio, proviamo a incidere sulle risorse regionali per la coesione territoriale nel ciclo di programmazione europea 2021-2027, così come è stato fatto per le aree metropolitane e per le aree urbane, insistendo, come ha detto bene l’ultimo collega che è intervenuto, sulla governance di questa realtà che è fondamentale, provando a incentivare le buone prassi locali che ci sono nel nostro Paese, perché ci sono diversi piccoli comuni – lo diceva la collega Muroni – in cui si sono sviluppate delle sperimentazioni per promuovere la residenzialità, per incentivare l’insediamento di attività produttive, per la natalità. Ecco, quelle buone prassi prendiamole a esempio e mettiamole in rete.

E poi occorre cambiare approccio. Questa è una questione quasi più culturale che relativa alle risorse, perché se davvero vogliamo mettere a reddito questo capitale territoriale in cui tutti crediamo, come è dimostrato dalla discussione che si è avuta questa sera, dobbiamo trasformarle da tassello territoriale residuale – e io mi permetto di definirle, per quello che si percepisce, a volte da nicchia e da cartolina in cui fare la scampagnata domenicale – a terreno decisivo per vincere la sfida del futuro, quella che poggia sulla capacità che avremo di cambiare senza lasciare nessuno indietro, provando a giocare quelle carte, quindi questo capitale territoriale, che per troppo tempo abbiamo tenuto in tasca.

Qualche giorno fa, in una interessante intervista a Il Mattino, Carmine Donzelli rappresentava in modo molto significativo e corrispondente alla realtà il nostro Paese e diceva: “(…) l’Italia è disseminata da territori del margine, dal sistema delle valli e delle montagne alpine alle terre alte della dorsale appenninica scendendo fino a incontrare l’osso e la polpa di Rossi-Doria e le due grandi isole mediterranee” e invitava, sempre in quell’intervista, la classe dirigente del Paese a imparare a guardare l’Italia dai margini e dalle periferie per poter considerare le dinamiche demografiche, i processi di modernizzazione, gli equilibri ambientali, i sistemi di mobilità sociale e territoriale, le contraddizioni e le opportunità per una volta all’incontrario, ossia partendo, appunto, dal fatto che l’Italia del margine, come ho detto poc’anzi, non è una parte residuale ma si tratta del terreno decisivo su cui giocare la partita del futuro. Come dargli torto? Lo sviluppo italiano, le grandi strategie, i principali e i costanti flussi di finanziamento ordinari come quelli aggiuntivi e i ponti con l’Europa sono sempre stati predisposti principalmente intorno a due elementi: il centro, evidentemente contrapposto alle periferie, e la città e lo spazio urbano contro i paesi e le aree rurali. Con questo approccio sono stati costruiti i grandi nodi infrastrutturali, le reti anche quelle relazionali e di servizi, i sistemi di agevolazione fiscale insediativa. Mi viene in mente lo strumento delle zone economiche speciali costruito giustamente per valorizzare la rete portuale. Ma perché non pensare a strumenti simili anche per le aree interne e montane e per quelle più periferiche? Così facendo si è prodotto un doppio danno, senza peraltro raggiungere gli obiettivi che ci si era dati: si è sfruttato sino all’osso il territorio urbano e si è spenta la luce sulle aree interne, sulle montagne e sulle periferie geografiche. Si è caricato eccessivamente su due formidabili fattori di sviluppo – nessuno lo nega: il polo urbano e le centralità – e si è scelto di congelare un patrimonio territoriale straordinario, quello delle aree interne, producendo il risultato di usurare gli uni e le altre, poli urbani e centralità per il troppo utilizzo e aree interne per l’abbandono, perché il degrado è conseguente anche all’abbandono. E io aggiungo: pensate un po’ quale contributo di qualità avremmo potuto dare oggi, in cui l’opzione della green economy e della crescita verde e sostenibile rimane l’unica e necessariamente percorribile, se non avessimo perso di vista quel 60 per cento del territorio nazionale in riferimento alle politiche sul clima, all’agricoltura di qualità, al turismo dei borghi e delle destinazioni minori, e quanto avremmo potuto dire riguardo all’Europa mediterranea – consentitemi questo passaggio, visto il territorio da cui provengo – se avessimo reso le nostre isole più grandi, le nostre isole mediterranee, funzionali ed efficienti piattaforme logistiche, anello di congiunzione fra il sud del Mediterraneo e l’Europa continentale.

E invece no! La miopia, unita al continuo rinvio nella soluzione di problemi di cui abbiamo consapevolezza da tempo (e penso allo spopolamento e alla denatalità), hanno indebolito la capacità del Paese rispetto alla crescita economica e, nel contempo, hanno negato e negano fondamentali diritti di cittadinanza per chi vive lontano dal baricentro dei servizi e dalla città. Penso, in particolare, al diritto alla mobilità, a quello all’istruzione e a quello alla salute.

E allora io aggiungo, oltre gli impegni rispetto ai quali noi abbiamo formulato la mozione proposta in quest’Aula e sottoposta all’attenzione del Governo, io credo vi siano altri due elementi su cui dovremmo lavorare e che sono parte dell’agenda politica: uno è relativo alla revisione del quadro normativo relativo agli aiuti di Stato, perché questo è un tema fondamentale, che interessa appunto l’infrastrutturazione e il superamento del deficit di infrastrutture e servizi delle zone più marginali, nel senso di allentare i vincoli laddove gli investimenti siano orientati all’innovazione e alla riconversione produttiva green, ma inserendo anche un ulteriore tassello, che i vincoli contabili e i vincoli relativi agli aiuti di Stato siano adeguati e proporzionati rispetto al territorio in cui si interviene. Il digital divide delle aree rurali così come la difficoltà di accesso ai servizi sanitari e scolastici così come il diritto alla mobilità di cittadini che vivono in zone isolate o in territori insulari non possono non assurgere a elementi di ponderazione di quei vincoli, della loro adeguatezza o talvolta della loro insensatezza. Lo ha detto il commissario Gentiloni, lo ha ribadito il Ministro Gualtieri: dovremmo fare un lavoro molto importante rispetto alla rivisitazione di quel sistema normativo relativo all’aiuto di Stati e oggi, che si parla di regionalismo differenziato, io credo che all’interno di questo discorso, debbano entrare anche, oltre alla differenza fra regioni ricche e regioni povere, anche le differenze che ci sono all’interno delle regioni, perché all’interno delle regioni ci sono territori in cui si è investito di più, ci sono territori in cui si è investito di meno, ci sono aree interne e ci sono poli urbani, quindi, all’interno del ragionamento del regionalismo differenziato, utilizzando fra l’altro anche una legge che anche in questo caso già esiste ed è la legge delega 4299, all’articolo 22, sulla perequazione infrastrutturale – parlo della legge sul federalismo fiscale – ecco, dovremo, attraverso alcune misure previste in quell’articolo, provare a ricalcolare l’ammontare dei trasferimenti ordinari alla luce di nuovi livelli di prestazione dei territori, abbandonando il metodo della spesa storica. Dovremmo risarcire i territori riconoscendo e trasferendo le risorse sottratte nel corso degli anni e definire il quantum di trasferimenti aggiuntivi con finalità di perequazione. Ovviamente il mio intervento non è teso a chiedere al Ministro e al Governo di distogliere l’attenzione dai territori che in questi anni hanno avuto più attenzione, ma la richiesta è quella di allungare lo sguardo, allungare lo sguardo a tutto il territorio nazionale, lo ripeto, a tutto il nostro capitale territoriale, che è la carta che noi ci possiamo giocare per provare a costruire un percorso di crescita assolutamente inclusivo e che sia in piena sintonia con quanto ci chiede l’Europa, quindi l’economia circolare, la green economy, la sostenibilità in tutti i sensi, che non lasci nessuno indietro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Federico. Ne ha facoltà.

ANTONIO FEDERICO (M5S). Grazie Presidente, sono sicuramente molto soddisfatto della mozione che è stata presentata dalla maggioranza, quindi ringrazio tutti i colleghi che in queste settimane hanno lavorato per renderla più completa possibile, anche perché la complessità del tema trattato merita un approfondimento e una mozione così corposa, così come quella che è stata partorita non solo dalla maggioranza, ma devo dire anche dalle altre forze di opposizione, che hanno voluto presentare analoghe mozioni sullo stesso tema naturalmente. Perché sono felice? Perché spesso il dibattito politico, anche qui all’interno di questo Parlamento, si sofferma su quel divario che è insito nel nostro Paese tra nord e sud dell’Italia e questo, secondo me, è anche un po’ una limitazione che noi diamo al nostro guardare al nostro Paese, perché credo vi sia, oltre a questa differenza che potremmo chiamare verticale, anche un divario orizzontale che va colmato e che è molto più democratico probabilmente; non è distribuito nord-sud, ma raccoglie tutto il Paese, perché di aree interne (quindi zone montane, aree rurali, piccoli comuni) è disseminato tutto il nostro Paese, dalle aree più estreme del settentrione, quindi le Alpi e le Prealpi, scendendo tutta la catena appenninica, dalla Liguria fino alla punta della Calabria, le isole che hanno al loro interno delle zone rurali che hanno bisogno di particolare attenzione; e ciò per poter superare che cosa? Anzi, più che superare, per poter raggiungere quei principi di universalità, uguaglianza, equità che sono distribuiti un po’ in tutta la nostra Carta costituzionale e che noi, come Parlamento, dobbiamo sollecitare in ogni istante, in ogni azione che portiamo avanti, in ogni provvedimento, per riuscire a garantirlo su tutto il territorio nazionale. Sono poi molto contento di questo dibattito oggi in Parlamento, perché ho fatto per cinque anni il consigliere regionale di una regione che probabilmente rappresenta l’esemplificazione di quelle che sono le aree interne e le aree rurali, che è la regione Molise, caratterizzata proprio da tutte quelle difficoltà che, all’interno di questa mozione, abbiamo cercato di superare e declinare con azioni concrete, che non sono solo quelle che porta avanti il Governo con le iniziative che nella legge di bilancio sono state già riportate negli interventi precedenti dei miei colleghi, ma che riguardano poi un aspetto culturale, come diceva qualcuno prima; ovvero non possiamo guardare esclusivamente ai problemi e alle tematiche del nostro territorio e delle nostre aree interne soltanto con una visione localistica: se volessimo guardare alla fragilità del suolo, al fatto che, da un punto di vista idraulico, ci sono dei problemi, il dissesto idrogeologico è causato dall’abbandono dei territori, ma anche da fenomeni più globali come i cambiamenti climatici, perché, con l’aumento delle piogge e quindi con una forte aggressività che abbiamo vissuto in questi ultimi due anni soprattutto, i terreni si gonfiano di acqua e quindi diventa ancora più insostenibile e complicato andare a gestire. Queste sono tutte quelle operazioni di adattamento ai cambiamenti climatici che rappresentano una sfida internazionale che riguarda anche il nostro Paese e gran parte del nostro territorio, perché oltre il 60 per cento del nostro territorio ha questo tipo di caratteristiche e, quando un territorio è così fragile e così sensibile a questi mutamenti, noi dobbiamo intervenire nei confronti di quelle persone che hanno deciso di continuare a vivere in quelle aree, in quei piccoli comuni, in quelle aree rurali, in quelle aree montane, portando avanti quella Italia genuina, vera, che tanto caratterizza il nostro territorio, il nostro bel Paese; penso quindi sia importante essere sempre puntuali negli interventi che si propongono. La mozione richiama la strategia nazionale per le aree interne, che è sicuramente un intervento strutturale importante, perché dobbiamo sempre parlare di interventi strutturali, mai estemporanei, se vogliamo far sì che questa universalità ed eguaglianza venga mantenuta nel tempo e non si risolva solo in un qualcosa che si circoscrive in un’azione spot, che può servire a far bello, un fiore all’occhiello del Paese, un piccolo territorio, perché magari colpito da un evento come un sisma; vi sono infatti anche altre cose che toccano queste realtà purtroppo, ma devono essere strutturali. Quindi, le strategie nazionali per le aree interne richiamate nella mozione vanno rafforzate e vanno ampliate rispetto alle altre realtà territoriali dove ancora faticano un pochino a partire e quindi credo che quello sia un intervento sul quale continuare a puntare, una strategia sulla quale continuare a puntare, così come è importante ricreare quel concetto di rete tra le comunità, tra le piccole comunità: i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti sono tantissimi nel nostro territorio ed è importante che queste piccole realtà dialoghino meglio tra di loro, con strumenti normativi e amministrativi che permettano loro di mettere a sistema tutte le loro potenzialità e i servizi che poi devono offrire ai cittadini; penso ai servizi basilari come una scuola, un servizio di trasporto pubblico scolastico o il trasporto pubblico extraurbano, un serbatoio per l’acqua, perché magari un comune c’ha il serbatoio e l’altro comune non ce l’ha e quindi è importante che si crei una sinergia adeguata nella gestione di queste piccole cose, invece di creare difficoltà e non mettere a sistema la gestione in maniera intelligente e razionale, così come ci ricorda proprio l’articolo 44 della Costituzione, con riferimento ai servizi per i cittadini residenti nelle aree interne.

È importante, anche rispetto a quello che dice proprio l’articolo 94, un uso razionale del suolo, quindi anche quelle politiche di contrasto al consumo del suolo sono necessarie proprio per salvaguardare il nostro territorio, questo territorio delle aree interne, che ha bisogno di questa attenzione, perché se poi dopo vogliamo puntare su un turismo rurale o se vogliamo avvicinare le persone con un turismo enogastronomico di cui si è parlato anche precedentemente, se vogliamo rafforzare anche quel made in Italy che riguarda le nostre produzioni che caratterizzano queste aree, penso che dobbiamo avere un’attenzione a 360 gradi su tutto.

Ciò è importante e io voglio anche richiamare e leggere quei punti che nella mozione riportiamo, che riguardano la fiscalità – e quindi interventi sulla fiscalità – perché per sostenere un ulteriore sviluppo del turismo rurale e dell’agriturismo montano c’è bisogno di realizzare un piano d’azione per una differenziazione di sistemi fiscali delle aree interne. Questo è un punto caratterizzante e credo importante della nostra mozione, proprio perché interviene a superare quel gap che i cittadini che decidono di continuare a vivere nelle aree interne devono sopportare in termini infrastrutturali, che magari vengono compensati da un punto di vista fiscale. Questo credo che sia importante proprio per rilanciare la possibilità di fare investimenti pubblici e privati e per dare maggiori sicurezze a quei cittadini che decidono di restare, quindi facendo in modo che i cittadini continuino a sentire lo Stato presente e non qualcosa di lontano che riguarda solo i grandi centri metropolitani del nostro Paese, uno Stato che guarda con particolare attenzione anche al resto del nostro territorio. Aggiungo, poi, in conclusione, che la garanzia dei servizi essenziali, quali il trasporto pubblico o extraurbano, che viene poi, di fatto, gestito dalle regioni da un punto di vista organizzativo, deve avere un’attenzione particolare proprio sulla distribuzione puntuale. Ciò su cui mi voglio soffermare, che poi spesso ingenera anche molte tensioni, criticità e polemiche sui territori, riguarda il sistema sanitario, quindi la gestione delle reti degli ospedali, dei piccoli ospedali di montagna, che devono continuare a mantenere in piedi non un concetto di campanile, per cui voglio il mio ospedale sotto casa. Qui è importante che il legislatore e che i governi regionali siano in grado di assicurare sostenibilità e sicurezza nelle prestazioni sanitarie in maniera tale che l’accesso alle cure sia garantito a tutti quanti, con un servizio e una rete territoriale ed una rete dell’emergenza che funzioni e che permetta anche a chi vive sul cucuzzolo della montagna – fatemi passare questo termine – di sentirsi tutelato da questo punto di vista e di vedere garantito anche quell’articolo 32 della Costituzione che sancisce il principio della sanità pubblica (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Ferri. Ne ha facoltà.

COSIMO MARIA FERRI (IV). Presidente, questa mozione è davvero importante, perché segna un punto fondamentale per il futuro del nostro Paese, che è quello di eliminare le disuguaglianze territoriali, di unire e avvicinare le comunità e di garantire diritti e servizi a tutti. Penso che sia fondamentale. Quando parlo di servizi, parlo di giustizia, parlo di sanità, parlo di istruzione, parlo di trasporti, di trasporti ferroviari e non solo; quindi, garantire a ciascuno di scegliere il posto dove stare, di vivere e di avere gli stessi diritti. In altre parole, si può parlare davvero di un patto, di un rilancio e di un obiettivo comune, che deve essere quello di garantire pari opportunità territoriali che uniscano le zone montane e rurali, le aree interne, con le zone e le aree urbane, per consentire a tutti di accedere agli stessi diritti e agli stessi servizi. Oggi non è così, quindi – lo dobbiamo dire – la mozione tocca tutti i punti e propone delle soluzioni. Penso che questo sia l’obiettivo del Governo. Penso al bilancio e alla programmazione a livello europeo 2021-2027, alla necessità di una legislazione interna che continui quello che è stato fatto in questi anni (la legge sui piccoli comuni); penso al bando per quanto riguarda le aree interne, quello del 2014, che è ancora pendente, a cui bisogna dare un po’ più di impulso, per dare delle risposte a chi ha presentato questi progetti. Quindi è essenziale e importante, come dice la mozione, aiutare le zone interne e montane a superare le sfide a cui devono far fronte. Si tratta di sfide, si tratta di un cambio di passo, di una filosofia diversa per quanto riguarda le zone montane. Penso ai presidi ospedalieri. Abbiamo vissuto una stagione in cui abbiamo visto chiudere ospedali, abbiamo visto chiudere dei punti nascita in tante parti del nostro territorio. Noi vogliamo una politica che riapra i punti nascita, che preveda una defiscalizzazione per le aziende, per i cittadini, per i residenti, per le imprese, per gli artigiani che continuano a vivere e a investire nei territori non solo delle aree interne ma anche delle zone rurali e montane; quindi, defiscalizzazione, servizi pubblici, trasporti, una politica che davvero dia queste risposte. Molte volte i piccoli comuni si sentono lontani non solo dallo Stato e dal Governo nazionale, ma anche dalle regioni, molto spesso anche dalle province, perché affrontano quotidianamente il tutto da soli. Davvero dobbiamo dire grazie non solo ai cittadini che vivono e credono ancora nelle zone montane e rurali, ma anche a quegli amministratori dei piccoli comuni e a quegli uffici pubblici che cercano di dare e garantire un servizio. Abbiamo ancora impiegati – ringraziamo anche il personale della nostra pubblica amministrazione, senza sempre denigrarlo – che molte volte portano il certificato di residenza al residente di quella frazione di quel comune perché magari non ha la possibilità di andare nell’ufficio comunale e che si prestano a dare un servizio. Oggi in molte realtà avviene questo, quindi noi dobbiamo garantire questa rete, prevederla nel bilancio e nella programmazione 2021-2027, e pretendere a livello europeo più finanziamenti e anche delle deroghe, perché molte volte i criteri e le norme che vengono create, sia a livello europeo ma anche a livello nazionale o regionale, impongono poi a queste realtà di chiudere. Parlavo prima dei punti ospedalieri, dei punti nascita; li ho visti in molte realtà, sia in Toscana ma anche in Emilia. Ho molto apprezzato – anzi faccio gli auguri al presidente Bonaccini – che Bonaccini in campagna elettorale abbia puntato sull’apertura anche di questi punti nascita. Molte volte venivano chiusi in Toscana, ma anche in altre regioni d’Italia, perché non raggiungevano quel numero di parti che erano richiesti dalla norma, senza guardare alla specificità del territorio, alla qualità, al servizio, anche al rapporto tra cittadino, utente e servizio sanitario. Così per le classi, le regole per gli istituti scolastici. È importante la formazione, l’educazione e l’istruzione, ma se noi manteniamo, anche a livello scolastico, quei parametri così ampi, è chiaro che mettiamo fuori gioco delle realtà territoriali che invece meritano di essere coinvolte e che devono avere gli stessi diritti. La tecnologia: abbiamo zone – è stato già ricordato prima – dove nemmeno il cellulare si riesce a utilizzare, oppure l’accesso a Internet. Pensiamo a tutto quello che vuol dire evitare lo spopolamento rurale e lo spopolamento di tanti giovani, di tante famiglie, che sono costretti a lasciare quelle zone per andare in una zona dove almeno possa funzionare Internet e arrivare il collegamento telefonico. Ciò vuol dire evitare di isolare popolazioni, studenti, cittadini, che possono e devono avere gli stessi diritti e le stesse opportunità di crescita, di formazione, di educazione, di istruzione, di approfondimento che hanno i cittadini che abitano nelle zone urbane. Questa è la sfida, tutti insieme. Anche il gruppo parlamentare di Italia Viva – ha già parlato prima anche il collega De Filippo – crede a questi temi e vuol portare il proprio contributo; ha firmato questa mozione, ma vuol continuare a far sì che tutto quello che impegna oggi il Governo sia poi realizzato insieme e si possa davvero cambiare passo, per rispettare questo patto che eviti diseguaglianze, che eviti disparità e che consenta a tutti gli stessi diritti e gli stessi servizi (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Cogliamo l’occasione per salutare gli studenti e gli insegnanti dell’Istituto comprensivo “Leonardo da Vinci” di Castelfranco di Sotto, che sono anche accompagnati dal loro sindaco. Benvenuti bambini (Applausi).

Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, Ministro Provenzano.

GIUSEPPE LUCIANO CALOGERO PROVENZANO, Ministro per il Sud e la coesione territoriale. Grazie, Presidente, e grazie ai deputati della maggioranza e anche dell’opposizione per la ricchezza di questo dibattito. È troppo importante l’occasione per non provare a dire alcune cose. La discussione di oggi mi conferma una convinzione che ho voluto testimoniare anche all’inizio del mio mandato, riprendendo nel Ministero per il Sud la dizione di “coesione territoriale”, proprio per la consapevolezza che accanto alla frattura storica tra nord e sud del nostro Paese, il cui superamento, comunque, rappresenta il primo vincolo da rimuovere per lo sviluppo nazionale. La complessità dei divari territoriali oggi si estende alla grande questione dell’Appennino, ad esempio, alla distanza tra i centri e le periferie, entro le quali, in un concetto un po’ dilatato, noi possiamo includere le aree interne, le zone rurali e le zone montane. Sono questi concetti diversi, anche per la nostra normativa, ma sono accomunati, giustamente, nelle mozioni dall’idea del processo di marginalizzazione che hanno subito nel corso di questi anni; eppure sono luoghi depositari di un grande patrimonio, un patrimonio culturale e un patrimonio ambientale. Su quei monti c’è la radice della nostra Repubblica, fondata sulla Resistenza, quindi è importante riaccendere l’attenzione su queste realtà.

È stato detto nel corso della discussione – ed è esattamente lo spirito del Governo, già a cominciare dalla legge di bilancio – che occorre trasformare quella che è stata una sperimentazione sulle aree interne in una vera e propria politica che si integri con il complesso delle aree marginalizzate nel nostro Paese. La strategia delle aree interne, poi, ha alcune specificità che vanno preservate, a cominciare da un processo di perimetrazione delle aree partecipato, da un’integrazione nella scrittura della strategia, che sono elementi che hanno un grande valore perché hanno stimolato nei comuni, nelle realtà, dei processi associativi molto virtuosi, anche alcuni processi di fusione tra comuni, proprio in alcune aree pilota, che non hanno avuto alcun contraccolpo. Qui, ho visto un eccesso di critiche verso un processo che, invece, può essere virtuoso.

Va rafforzato, nella definizione delle aree interne, il criterio dello spopolamento, come è stato detto da alcuni di voi, che rappresenta l’elemento, forse, di maggiore preoccupazione oggi; allo stesso tempo, attraverso l’individuazione di meccanismi premiali, vanno stimolate le aree che hanno prima di altre e con più solerzia di altre attuato e messo in campo una strategia territoriale integrata di sviluppo.

Il tema decisivo è la governance: è stato detto ed emerge nella mozione. Vorrei rassicurare i deputati sul fatto che, in particolare per quanto riguarda le aree interne, uno dei primi obiettivi del Governo è teso al rafforzamento del comitato tecnico per le aree interne, che deve mantenere sia la sua natura interministeriale, perché questa politica funziona se il complesso del Governo e i diversi Ministeri che in qualche modo afferiscono alla garanzia e alla tutela dei servizi dei cittadini che vi vivono sono pienamente coinvolti, sia anche una natura interistituzionale, perché accanto al livello di Governo, ci deve essere un profondo coinvolgimento sia delle regioni, che nella strategia hanno un ruolo importante, sia soprattutto dei comuni che vanno richiamati all’esercizio di una grande responsabilità.

Noi dobbiamo, però, semplificare alcuni passaggi e questo è stato uno dei temi che ha determinato il ritardo nella piena attuazione delle 72 aree pilota ed entro il 2020 l’obiettivo che ci proponiamo è quello di coprirle tutte; dall’altro lato occorre individuare dei meccanismi di affiancamento amministrativo agli enti locali per mettere in campo questa strategia. L’Agenzia della coesione territoriale, da questo punto di vista, va riformata – ed è quello che stiamo provando a fare anche attraverso la nomina del nuovo direttore – per mettersi, diciamo, in giro per i territori, come è stato detto da diversi deputati. Rossi-Doria usava una bella espressione, laddove diceva: “sporcarsi le scarpe”; noi abbiamo bisogno di un’amministrazione centrale che torni a sporcarsi le scarpe e ad accompagnare i comuni nel farlo.

Ci si è concentrati molto nelle mozioni anche sulle politiche aggiuntive, quindi sulle politiche di coesione, sia europee che nazionali. Su questo è molto interessante come la Commissione europea abbia riconosciuto l’importanza del percorso italiano attraverso la richiesta, informale fin qui, di una riserva per le aree interne all’interno dei programmi operativi dei fondi strutturali; difficilmente si potrà, anche per l’esigenza di ridurre i programmi operativi nazionali, immaginare un PON interamente dedicato alle aree interne, alle zone montane, ma sicuramente noi dobbiamo rafforzare, per esempio, alcuni strumenti che hanno trascurato fin qui queste aree marginalizzate, come il Fondo sviluppo e coesione, che è la leva nazionale delle politiche di coesione e che dobbiamo indirizzare, come è stato proposto, a politiche specifiche di intervento. Però l’invito che vi faccio è a concentrarci anche sulle politiche ordinarie, non solo sulle politiche aggiuntive; per questo è importante l’attuazione della legge sui piccoli comuni, per questo è importantissimo che nel processo di riforma delle autonomie sia garantita la previsione di quella perequazione infrastrutturale che guardi anche all’interno delle regioni e non solo all’esterno.

La legge di bilancio ha già fatto un passo importante nel tentativo di passare dalla sperimentazione a una vera e propria politica, raddoppiando sostanzialmente le risorse in modo da poter estendere la strategia, pur salvaguardandone i criteri di fondo che presiedono alla sua definizione; ed è altrettanto importante la previsione di questo fondo per le iniziative imprenditoriali; insieme ai diversi auspici che sono previsti nelle mozioni. Questo è un aspetto cruciale perché la scelta di rimanere e di costruire un futuro nei luoghi dipende anche dalla opportunità di occasioni di lavoro in quelle realtà, che sono garantite, molto spesso, da presidi economici che svolgono anche una funzione sociale oltre che una funzione economica.

Devo dire, infine, che noi dobbiamo concentrarci sul processo più ampio che, insieme alla Commissione europea, come Governo vogliamo sperimentare, cioè il Green Deal, che per fortuna, anche nelle decisioni della Commissione degli ultimi giorni, si connota per una dimensione territoriale che è assolutamente decisiva. Ciò significa tutelare la biodiversità, significa la prevenzione del dissesto, la messa in sicurezza del territorio, significa anche favorire attività economiche, un’agroalimentare di qualità; soprattutto, significa un nuovo processo di infrastrutturazione di quelle aree, materiale e sociale, perché noi abbiamo bisogno di spezzare l’isolamento di quei territori sul piano delle infrastrutture materiali, ma soprattutto sul piano delle infrastrutture sociali perché la scelta di restare in un luogo è dovuta anche ai tempi di attesa del pronto soccorso, come è stato ricordato, alla salvaguardia o meno dei punti nascita, al trasporto pubblico locale. Soprattutto, abbiamo l’esigenza, che è già stata affrontata nel comitato per la banda ultralarga di accelerare il completamento e l’attivazione del servizio nelle aree cosiddette bianche, che incrociano quasi interamente le aree di cui stiamo parlando oggi. Si sono accumulati troppi ritardi; noi abbiamo cercato di accelerare, ma questo è un elemento cruciale.

Concludo, dicendo che è vero ciò che diceva l’onorevole Mura; bisogna guardare l’Italia dalle aree del margine, perché ci si accorge, molto spesso, come in quelle realtà, accanto alle difficoltà che noi dobbiamo cercare di affrontare e ai divari che dobbiamo riuscire a colmare, esistono forme di sperimentazione, anche democratiche, importantissime; esiste un patrimonio di cittadinanza attiva, di esperienze sociali, di vita di comunità, di cui l’Italia ha bisogno e di cui hanno bisogno anche le aree in cui si concentra molto spesso lo sviluppo, che quando diventa troppo squilibrato, produce dei contraccolpi in termini di sovrappopolamento, di rendite immobiliari, di inquinamento dei luoghi e così via.

Queste aree di cui parliamo oggi, spesso, nella letteratura più recente, vengono definite i luoghi che non contano; dobbiamo ricordarci che abbiamo tutti il dovere di guardare ai cittadini che vivono lì, perché tutti i cittadini, in ogni luogo, nel nostro Paese, hanno il diritto di contare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.