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RIPORTIAMO DI SEGUITO, l’intervento di Camilla Bianchi, Sindaca di Fosdinovo e Coordinatrice Uncem Toscana, al webinar della rete “Il Giusto mezzo”, tenutosi l’8 febbraio 2021, con il Patrocinio di Uncem.

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La montagna italiana sta vivendo un rinnovato interesse, nella visione futura all’uscita dalla pandemia,  e si propone come luogo di opportunità per una scelta di vita diversa e un ripensamento su come costruire una prospettiva, anche di lavoro, uscendo nello stesso tempo dallo stereotipo che vede il turismo come il principale (se non addirittura l’unico) possibile sbocco occupazionale. Di questo fenomeno, come noto, stiamo già vivendo i primi timidi segnali, non ancora sufficienti per parlare di rinascita ma sufficienti per individuare ciò che può ostacolare questo nuovo impulso, impegnandoci dunque a progettare azioni atte a rimuovere tali ostacoli. Indubbiamente la questione femminile è al centro del dibattito.

Quando rappresentiamo la montagna parliamo di 3.471 comuni che ospitano una popolazione di circa 8.900.000 abitanti ossia il 15% della popolazione nazionale con una densità abitativa di 60 abitanti/kmq, rispetto ad un valore medio nazionale di 200, e questo dato si ritiene rilevante in epoca di pandemia.

I paesi e i borghi compongono un insieme variegato per qualità di vita e strutture sociali, rispecchiano le differenze tra le regioni italiane, ci parlano ancora di un mercato del lavoro la cui frattura non è quella che distingue Alpi e Appennini ma quella che separa invece le regioni del Nord (anche Appenniniche) da quelle del Mezzogiorno dove la bassa partecipazione della popolazione femminile al mercato del lavoro e l’elevata disoccupazione, specie giovanile, fanno la differenza.

Una differenza nord-sud che ha una evidente dimensione quantitativa ma presenta non di meno spiccati caratteri qualitativi la cui espressione emblematica è la questione di genere, da affrontare anche con azioni di intervento culturali.

Notiamo anche la differenza, nel nord, tra la situazione nelle Alpi e quella negli Appennini dove, storicamente, vi è più povertà e più difficolta, ma che avrà bisogno di ulteriori analisi e approfondimenti alla luce di nuovi dati di registrazione relativi ai disastrosi postumi di stagioni turistiche completamente saltate e che vede impiegate nel settore moltissime donne, le prime a pagare il prezzo della crisi, come certificato da ISTAT qualche giorno fa.

Aree interne, sviluppo rurale, green community sono i temi economici che hanno animato la montagna negli ultimi anni, rilevando, ad esempio, che i comuni dell’arco alpino sono i più attenti in Italia alla sostenibilità ambientale essendo in ciò esempio e faro.

Nel partecipare al dibattito sul piano di ripresa e resilienza, UNCEM ha indicato alcuni punti che sono comuni denominatori per tutte le aree montane, e si qualificano come bisogni basilari di questi territori.

Tra questi ne sottolineo alcuni individuati come azioni da sollecitare:

  • Generare Politiche di compensazione e perequazione territoriale a favore delle zone montane fortemente penalizzate da un minore o scarso gettito erariale e aventi maggiori costi per la gestione dei SERVIZI.
  • Creare un sistema di incentivi o una fiscalità particolare per la RESIDENZIALITÀ nelle aree montane, al fine di evitare lo spopolamento. Promuovere il lavoro in montagna e l’imprenditoria femminile.
  • Costruire Infrastrutture digitali: la mancanza di reti non permette di garantire servizi a tutti i cittadini, indipendentemente dalla zona di domicilio, mentre il loro potenziamento promuoverebbe l’insediamento lavorativo in zone marginali.
  • Ricostruire un nuovo WELFARE PUBBLICO – a partire dalla sanità territoriale – Covid19 insegna – che colmi i divari strutturali storici del vivere in montagna, agendo su scuola, trasporti, attività socio-assistenziale, servizi.

 

Servizi per la residenzialità e welfare pubblico sono i temi centrali: sono condizione indispensabile allo sviluppo della montagna e delle aree interne, al fine di favorirne il ripopolamento prospettando un adeguato se non innovativo stile di vita che possa attrarre nuovi residenti. E’ necessario allocare le risorse sui servizi in funzione delle diverse esigenze delle donne e degli uomini nel loro territorio di riferimento, considerando quest’ultimo come punto di partenza, valorizzando la programmazione in chiave di uguaglianza e di parità.

Crediamo che attraverso un’oculata distribuzione di risorse, considerate le fragilità del contesto montano, che è una parte rilevante del territorio italiano, si potrà ridisegnare e aggiornare il welfare dell’intero paese.

Occorre ampliare servizi diffusi alla comunità e alla persona, alle donne in particolare, perché questo è ancora il cuore del problema della famiglia in montagna. Proprio in montagna, nei piccoli comuni appenninici e insulari le donne hanno più difficoltà a trovare la propria dimensione, e questo traspare dallo SPOPOLAMENTO delle aree montane e della forte DENATALITÀ che qui risulta ancora più accentuata e drammatica profilandosi come il PROBLEMA DEL PAESE ITALIA.

Il superamento dei divari di genere non è dunque solo un obiettivo delle donne limitato all’ambito dei diritti civili, ma è una fondamentale questione politica, attinente alla visione della società cui vogliamo tendere nei prossimi decenni.

Solo costruendo un sistema attento alle spinte della politica di genere, nel pieno rispetto delle sfumature territoriali, costruiremo un’Italia più giusta.

Nel rapporto di SAVE THE CHILDREN dell’11 Febbraio 2020 si legge che “I nuovi dati Istat sul divario tra nascite e decessi, nonché il calo dei nuovi nati, confermano come nel nostro Paese vi sia in atto un vero e proprio smottamento demografico. I bambini sono sempre di meno e ciò nonostante il Paese non riesce a garantire un’adeguata rete di sostegno a tutti i nuovi nati, in particolare nei primi mille giorni di vita, e ai loro genitori. Per questo è necessario un forte impegno da parte delle istituzioni, per costruire un sistema integrato e coerente di misure, tra cui il supporto economico per i genitori, il sostegno all’occupazione, con particolare attenzione per quella femminile, misure a sostegno della conciliazione tra lavoro e famiglia per entrambi i genitori, l’offerta di servizi educativi per la prima infanzia di qualità e su tutto il territorio”.

Le giovani mamme, in Italia, e in montagna sono sempre più rare: l’età media al parto cresce inesorabilmente e nel 2019 tocca i 32,1 anni, perché solo a quell’età si ha contezza del proprio futuro sociale e lavorativo.

I dati mostrano, in Toscana come nel resto del paese, il salto in basso dei tassi di occupazione con la nascita del primo figlio, il loro calo continuo con l’arrivo di eventuali altri bambini. Non poche madri vanno a incrementare la quota delle inattive, uscendo, dal mercato del lavoro, spesso per sempre: la fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro le espone a una più difficile reintegrazione, espellendole in molti casi definitivamente.

Uno campanelli di allarme del calo demografico è la flessione delle iscrizioni a scuola, flessione che diventa drammatica nei comuni montani dove la scuola è presidio di comunità.

In una scuola montana, dove già i numeri siano risicati, un calo di iscritti può determinare la sua definitiva chiusura e la conseguente morte di un borgo.

Questi dati devono essere uno stimolo per una riflessione volta al ripensamento del sistema scolastico e dell’offerta educativa, garantendo a tutti i bambini l’inserimento dall’asilo nido come un diritto in qualsiasi angolo d’Italia. Agrinido, nidi di famiglia, sono esperienze in atto ma ancora rare e da incentivare, e semplificare nelle incombenze burocratiche. Ripensiamo la scuola, anche alla luce di quanto la pandemia ci ha tragicamente insegnato, chiediamo fortemente una deroga per i borghi e i comuni montani nei numeri di costituzione delle classi, facendo tesoro di quella didattica a distanza che se praticata in gruppo può offrire esperienze di arricchimento per i territori marginali nel contatto con altre realtà. Occorre quindi una nuova visione della didattica, degli spazi, del numero dei docenti, del numero degli studenti, dell’apertura del gruppo classe, assunto oggi come riferimento esclusivo, per assicurare il diritto all’istruzione anche dove è più difficile arrivare (non posso che rammentare al proposito che la più straordinaria esperienza didattica, quella di Don Milani, ha avuto luogo in un’area marginale montana).

Evitiamo che le disuguaglianze territoriali e di genere contribuiscano alla riproduzione di un’organizzazione in cui permangano, ed escano rafforzati dalla crisi, quegli ostacoli che la Costituzione italiana imponeva alla Repubblica di rimuovere, pena la limitazione della libertà e dell’eguaglianza dei cittadini.

I mesi che verranno, con le incertezze economiche in un contesto nazionale e internazionale ancora in divenire, rischiano di esacerbare le disuguaglianze esistenti.

L’attuale crisi ha investito molti dei settori in cui la presenza femminile è preponderante (come turismo, commercio, benessere e ristorazione), e sappiamo già quanto ha pagato la donna lavoratrice della montagna.

Il sostegno all’offerta dei servizi di educazione e cura non solo per la prima infanzia ma anche per la terza età, può senz’altro favorire il superamento di alcune barriere che ostacolano l’accesso e la permanenza femminile nel mercato del lavoro, ma le politiche di genere nel loro senso più ampio devono diventare un asse fondamentale dei programmi orientati alla ripresa economica e a quel cambiamento – da più parti evocato – di un modello di sviluppo, che ha mostrato tutti i suoi limiti in questa difficile fase storica.

La rinascita dell’Italia non può che passare dalla rinascita della montagna, per una società migliore, attenta alle minoranze, più equa e solidale.