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L’iter per una nuova legge della Montagna, nazionale, prosegue. A trent’anni dalla inapplicata legge 97 del 1994, il Governo e il Parlamento lavorano da anni a un nuovo testo.
Ma dopo il lavoro in Commissione in Senato, che ha integrato il testo varato dal Governo, cosa serve? quali sono le necessità?
Proviamo a proporre alcune urgenze, non solo per la legge montagna. Per la legge di bilancio 2025, per la delega fiscale, per la riforma del Testo unico degli Enti locali, per dire come le Autonomie stanno nell’Autonomia rafforzata regionale. Punti istituzionali e politici di lavoro. Da fare insieme. Nel NOI. Uncem propone al Governo e al Parlamento. Uncem NON detta l’Agenda politica: da 70 anni analizza, presenta strumenti e idee, sensibilizza, fa attività intelligente sindacale mossa dalla proposta e dalle idee che scaturiscono dall’incontro e dal dialogo con territori, Amministrazioni, Sindaci, imprese. Anche oggi, vogliamo essere soggetto propulsivo e costruire dialogo, sinergie, interazioni. Oltre ogni scontro – la montagna proprio non ne ha bisogno – per avere testi di legge, a partire da quello per le montagne, che siano efficaci, concreti, strategici, senza logiche di parte o ideologie.

 

1. Classificazione dei Comuni montani

Nel corso degli ultimi vent’anni, in diverse occasioni il Ministero degli Affari regionali e delle Autonomie ha avviato possibili revisioni dei criteri di individuazione dei Comuni montani, per una nuova classificazione. Nel frattempo, si sono realizzate nel Paese delle nuove classificazioni dei Comuni, come quella delle Aree interne – in base al grado di perifericità dei Comuni -, dei Comuni marginali, e si è stilato l’elenco dei piccoli Comuni ai sensi della legge 158/2017. Non sono mancati elementi di caoticità nel fare queste classificazioni, che hanno finito per frammentare e dividere gli Enti.

Negli ultimi vent’anni, il tentativo di dire cosa è montagna si è scontrato con questioni fisiche, profonde differenze orografiche tra Alpi e Appennini. Che sono molto diversi e specifici.

Una nuova classificazione comunque non deve fare riferimento solo a parametri fisici senza unire indicatori sociali ed economici. Anche questo elemento non è comprensibile.

Non sia la montanità un “privilegio”. Altimetria è diversa da altitudine.

Uncem ritiene non opportuna oggi una nuova classificazione dei Comuni montani. E ritiene poco chiaro l’articolo del disegno di legge che prevede addirittura due elenchi differenti in due commi, oltre al terzo del comma 3 per la PAC. Si proceda pertanto con l’attuale classificazione.

 

2. Riorganizzazione istituzionale mancante

Occorre nel Paese affrontare il tema relativo all’organizzazione istituzionale dei Comuni montani. I 3500 Comuni montani dal 1971 sino a dieci anni fa sono stati organizzati in Comunità montane, che garantivano allo stesso tempo servizi associati tra Comuni, investimenti e progetti per lo sviluppo socio-economico dei territori, bonifica e protezione del territorio, attraverso fondi statali e regionali che si accompagnavano a competenze affidate alle CM dai Comuni direttamente e dalle Regioni.

Questo sistema è stato smontato (grave errore) in gran parte delle Regioni (solo tre in Italia hanno mantenuto finora le CM e solo alcune di esse hanno agevolato, anche con specifiche leggi, la formazione di Unioni montane di Comuni (secondo la banca dati del progetto Italiae sono c.a. 400 nelle zone montane del Paese per circa 2200 Comuni). Molteplici Regioni in particolare dell’Appennino non hanno previsto finora una forma organizzativa sovracomunale nelle zone montane.

Le politiche e le opportunità che una nuova legge statale può prevedere per le aree montane si innestano efficacemente solo su un tessuto istituzionale solido che lo Stato deve comporre con norme cornice che ogni Regione può declinare. Comuni insieme: sia questo il principio nella riscrittura del TUEL. Il ddl Montagna deve insistere sul tema.

Occorre per i nuovi interventi per le zone montane passare da una logica dell’IO al NOI. Questo non significa annullare e fondere i Comuni. SI tratta di fare l’esatto opposto. Ovvero – come avviene in Francia e in Germania – favorire il lavoro insieme tra Comuni, per garantire servizi e per lo sviluppo dei territori.

Non si ritiene adeguato e idoneo basare le politiche territoriali sui singoli Comuni. Così come gli stanziamenti del FOSMIT non devono essere misurati su Comuni bensì su aree omogenee territoriali, che per le montagne corrispondono alle valli, orograficamente “complete” da cima a fondo.

Riorganizzare la governance, il livello istituzionale, vuol dire riequilibrio sull’ambito, manager della PA formati accanto ai Sindaci, formazione del personale, specializzazione del personale, digitalizzazione dei processi, nuova relazione con i Cittadini, Comuni in dialogo, investimenti dati da vera pianificazione sovracomunale. Non c’è solo il dato del risparmio. Riorganizzare costa. E occorre investire. Ma avere un solido sistema istituzionale è fondamentale.

Facciamo con i Comuni insieme perequazione fiscale, usiamo insieme bene le risorse disponibili: fondo montagna, fondi della coesione e tutti i sostegni UE, fondo associazionismo delle funzioni, sovracanoni idroelettrici, fondo comuni marginali, e altri. Superiamo per tutti i fondi la logica del campanile, di qualcuno che “prevale”. Insieme si pianifica e si è nel futuro

E comunque i Comuni devono da soli riorganizzarsi! Non perdersi – a legislazione vigente, invariata, sino a cambiamenti – nelle solitudini. Puntare sul NOI. Dire come vogliono stare insieme, essere più forti uniti, puntare sull’insieme della valle, sulla Unione o Comunità montana (che è Unione) per essere forti politicamente. [se qualcuno non vuole unire, stabilizzare, rafforzare l’insieme, è perché c’è chi ha piacere ci siano divisioni e frammentazioni, va ricordato]. Uncem lavora per il NOI dei Comuni.

 

3. Ruolo delle Regioni e relativa legislazione

Solo sei Regioni in Italia dispongono di una legge regionale per lo sviluppo della montagna, dotata di opportuni fondi regionali (traendoli dal proprio bilancio ordinario annuale e pluriennale), mentre la maggior parte vede la questione montana (e anche quella forestale) come mera appendice del “sistema agricolo”.

L’errore di fondo è non considerare, da parte di molte Regioni, la questione montana, alpina e appenninica, trasversale a tutti i settori e a non investire risorse proprie, destinando poi solamente pochi punti percentuali di fondi UE strutturali.

Uncem chiede si introduca una norma di coordinamento statale (con poteri sostitutivi se necessario) che impegni le Regioni ad adeguare la propria legislazione in materia di montagne e foreste al presente ddl (richiesta presente e disattesa finora nel Testo unico forestale), a investire delle risorse economiche almeno pari a quelle che lo Stato riverserà alle Regioni nel riparto del FOSMIT, a intervenire sul sistema istituzionale dei Comuni montani favorendo uno stabile associazionismo ai sensi delle vigenti norme del TUEL sulle Comunità montane e sulle Unioni montane di Comuni, scegliendo la migliore organizzazione istituzionale permettendo così politiche durature ed efficaci su un territorio. Che così sarà meno fragile e più in linea con le scelte di altri Paesi UE che nelle zone montane hanno favorito la collaborazione tra Comuni (si pensi al Piano FranceRuralité), senza inibire la capacità democratica dei singoli municipi (36mila in Francia e 24 mila in Germania).

 

4. Uso del Fondo per la Montagna FOSMIT

È necessario ricordare che il Fondo nazionale per la montagna introdotto dalla legge 97/1994 (articolo 2) è stato azzerato nel 2010. Con la legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012, art. 1, comma 319) è stato istituito il Fondo nazionale integrativo per i comuni montani, con una dotazione di 1 milione di euro per l’anno 2013 e di 5 milioni annui a decorrere dal 2014, da destinare al finanziamento dei progetti di sviluppo socioeconomico per comuni classificati interamente montani (di cui all’elenco predisposto dall’Istituto nazionale di statistica – ISTAT). La dotazione è stata poi elevata a 10 milioni a decorrere del 2020 dall’art. 1, co. 550, della legge di bilancio 2020 (legge n. 160/2019). Criteri e modalità di funzionamento del Fondo integrativo sono stati definiti con il decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del 16 gennaio 2014.

Tali due fondi sono, da ultimo, confluiti nel nuovo “Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane” (art. 1, comma 593, della legge n. 234 del 2021), con una dotazione di 100 milioni per il 2022 e 200 milioni a decorrere dal 2023. Nel 2023 sono stati ripartiti 196 milioni di euro. Usiamoli bene! per investimenti importanti!

L’esperienza di queste due annualità, 2022 e 2023, deve far crescere consapevolezza e impegno delle Regioni italiane nello stanziare analoghe somme tratte dai loro bilanci. Se il fondo 2023 è stato di 209 milioni di euro, con l’impegno di ciascuna Regione il fondo 2024 potrebbe arrivare anche a 420 milioni di euro. Un maggiore coordinamento statale può essere utile in tal senso.

Il fondo, con la dotazione attuale di 200 milioni di euro, deve essere mantenuto almeno fino al 2033. Si ritiene inopportuno che una parte del fondo per la montagna venga trattenuto dallo Stato per interventi di competenza statale. Non perché questi non siano importanti o necessari. Bensì gli stessi interventi devono essere attuati aggiungendo risorse al FOSMIT.

In questa direzione, i fondi per la montagna potrebbero crescere fino a 500 milioni di euro annui. Ovvero:

– 200 milioni di euro FOSMIT ripartiti annualmente alle Regioni per interventi di competenza delle Regioni e degli Enti locali

– 200 milioni di euro di fondi regionali stanziati annualmente da ciascuna Regione (la medesima cifra ricevuta dallo Stato, con il fondo statale e regionale che dunque si possono sommare a livello di ciascuna Regione)

– 100 milioni di euro annuali aggiuntivi stanziati dallo Stato per gli interventi di competenza statale.

Troppo facile per noi chiedere 1 miliardo di euro di FOSMIT. E troppo facile essere respinti dal MEF e dalla Ragioneria generale dello Stato. Dunque alla iniziativa sindacale per 1 miliardo annuo, aggiungiamo questo ragionamento sopra, non nuovo. Regioni e Stato facciano fino in fondo la loro parte.

 

5. Fiscalità differenziata

Occorre prevedere un pagamento dell’uso delle reti immateriali da parte dei giganti del web, trovando in questo modo risorse per investimenti nelle aree deboli. Qui si innesta il lavoro su fiscalità differenziata, centri multiservizio, difesa del commercio di vicinato, contrasto alla desertificazione.

Non vi è solo da intervenire sulla fiscalità per le imprese e le attività economiche dei territori montani (e comunque non solo quelle nuove o quelle formate da “giovani”), bensì è necessario un lavoro efficace insieme con la prossima legge sull’autonomia differenziata e rafforzata delle Regioni, nonché con la nuova legge sulla fiscalità.

 

Uncem evidenzia anche che i Comuni oggi hanno bisogno di nuovi strumenti per la loro fiscalità. La fiscalità locale degli Enti è di fatto ancora tutta derivata, avendo solo a disposizione le entrate dell’IMU sulle seconde case e questa solo in parte. Occorre intervenire dando realmente autonomia ai Comuni (Autonomie locale nell’Autonomia regionale), riscrivendo le regole dei Fondi di solidarietà comunale e con una perequazione sull’ambito territoriale di riferimento dei Comuni, in una logica sovracomunale.

Uncem richiede di introdurre il regime IVA agevolata del 10% per le opere connesse alla manutenzione e alla salvaguardia idrogeologica del territorio montano, di cui alla Legge 991/52 per le tipologie di opere di manutenzione e presidio del territorio finalizzate a quanto indicato al comma 1 dell’art. 15 del D.lgs. 228/2001 in aree sottoposte alla tutela del vincolo idrogeologico (RDL 3267/1923).

6. Valorizzazione dei servizi ecosistemici

La valorizzazione dei servizi ecosistemici ambientali non sia effimera, di principio. Sia concreta. Sull’acqua, sulle foreste, dando finalmente seguito a quanto scritto di recente sul Registro dei crediti di carbonio. Che deve essere varato in via definitiva! I Governi, dal 2015, hanno lasciato cadere la delega prevista nella LN 221. Oggi si faccia un passo avanti serio e a prova di futuro.

Vale anche per le concessioni idroelettriche. Proroghe, rinnovi automatici o gare, i territori devono essere al centro delle trasformazioni del settore: canoni e sovracanoni devono andare ai territori montani. I nuovi prossimi investimenti delle aziende concessionarie devono essere volti allo sviluppo sociale ed economico, a dare risposte alle crisi ecologica, energetica, demografica dei territori, mettendo le comunità locali – uomo nella natura – il capitale umano al centro.

Per essere concreti. Si introduca un articolo che prevede che: una Percentuale della tariffa idrica sia destinata – da parte delle Autorità d’ambito – alle Comunità montane e alle Unioni montane per interventi volti alla prevenzione delle fonti idriche e alla tutela del dissesto, per la prevenzione dell’assetto idrogeologico del territorio. È una concreta e solida forma di remunerazione dei servizi ecosistemici-ambientali. Con questo articolo: L’Autorità d’ambito territoriale di cui all’articolo 148 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, destina una quota della tariffa, non inferiore al 3 per cento, alle attività di difesa e tutela dell’assetto idrogeologico del territorio montano. I suddetti fondi sono assegnati alle Unioni dei Comuni montani, o alle Comunità montane ove esistenti, sulla base di accordi di programma per l’attuazione di specifici interventi connessi alla tutela e alla produzione delle risorse idriche e delle relative attività di sistemazione idrogeologica del territorio.

 

7. Impegno di Cassa Depositi e Prestiti. E delle Aziende pubbliche

Confermato che nessun Ufficio postale chiuderà, grazie all’importante lavoro di Uncem con Poste Italiane negli ultimi anni. Confermato anche che gli stessi uffici postali dei Comuni montani vengono potenziati attraverso Polis, occorre lavorare con i “cugini” di Poste, ovvero Cassa Depositi e Prestiti.
Per introdurre in legge un fondo garantito per le imprese nei Comuni montani, approntato da CDP appunto, a “effetto leva” per gli investimenti delle imprese, con prestiti dello Stato a tasso zero.

Le aziende pubbliche (Enel, Eni, Anas, Ferrovie dello Stato, Rfi, Terna, ecc.) non devono più considerare il territorio come logica coloniale, ma devono cominciare a investire in montagna creando valore sociale e non solo finanziario, impegnando risorse e competenze per la transizione energetica ed ecologica. Questo vale guardando alla positiva esperienza fatta negli ultimi due anni con Poste Italiane, chiudendo storici conflitti e aprendo una nuova stagione. Quello è il modello. Che deve essere concreto e carico di investimenti, con una strategia chiara e stabile.

L’innervamento digitale della montagna è obiettivo prioritario. Mettiamo a sistema, insieme, le tantissime risorse del PNRR (usate finora troppo in una logica municipale) per servizi e reti, generando realmente strumenti nuovi per il contrasto al divario digitale.

 

8. Contro i terreni e gli immobili non utilizzati, in abbandono.

Sono necessarie misure volte al contrasto dell’abbandono dei terreni montani. [non solo quelli “silenti”]. Uncem ha già proposto, e lo farà ancora, al Legislatore degli specifici articoli. Senza aumento di spesa.
Uncem richiede l’eliminazione dell’obbligo di utilizzo di notai per i rogiti notarili relativi a terreni agricoli nei Comuni totalmente e parzialmente montani. Ai sensi dell’articolo 97 del TUEL è possibile prevedere che tali di compravendita e successione di terreni (fino a 5mila metri quadrati di superficie e fino a euro 1.000 di valore) siano effettuabili davanti a un Segretario comunale, pubblico ufficiale, senza oneri per il cittadino. Da rimuovere le imposte di registrazione e trascrizione.

Uncem chiede vi sia al più presto una disposizione nazionale relativa al superamento della parcellizzazione fondiaria, con una “ricomposizione” ovvero con misure che sostengano l'”associazionismo fondiario”, per superare una dannosa frammentazione delle particelle in particolare nelle Alpi e negli Appennini.

Analogamente ai terreni, sono necessari e urgenti provvedimenti per il contrasto all’abbandono degli immobili nei Comuni montani.

9. Green Communities, per affrontare seriamente le crisi climatica e demografica

Relativamente alla Strategia nazionale delle Green Communities, Uncem sollecita Governo e Parlamento per l’individuazione di ulteriori risorse, nel quadro del PNRR o a valere sull’FSC, per il finanziamento di tutti i 200 progetti candidati sul bando del 2022.

Si sostengano nel ddl i processi partecipativi di comunità, strumenti per la vivacità dei paesi e dei territori, capaci di consentire processi – immateriali, ma di dialogo e concertazione, complessi e da sostenere – per la nascita di “Comunità energetiche”, “Cooperative di comunità”, Green e Smart Communities, progettazione partecipata, programmazione di sviluppo.

 

10. Quali servizi sui territori. Oltre il singolo campanile. Con i LEP

Dentro slogan “una ambulanza e un medico di base in ogni valle” – nei Comuni insieme in una dimensione territoriale omogenea – c’è la volontà di ricostruire un nuovo welfare pubblico – a partire dalla sanità territoriale, come imparato dal covid19 – che colmino i divari strutturali storici del vivere in montagna, agendo su scuola, sanità, trasporti, socio-assistenziale, servizi. Comunità al centro con le “cooperative di comunità”, con le “comunità energetiche”, ad esempio. Affinchè le tante “buone pratiche” possano tradursi in politiche.

In Italia di discute da 20 anni di come attuare il Titolo V della Costituzione, che prevede i “livelli essenziali delle prestazioni”. Troppo tempo si è perso. Si scriva nero su bianco che questi livelli essenziali devono tener conto della peculiarità montagna come area di sovracosti strutturali permanenti che devono essere garantiti per il diritto di cittadinanza.