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La necessità di procedere ad un riadeguamento dell’assetto del governo locale è una questione che diviene centrale in corrispondenza dei cambiamenti strutturali che in alcune epoche storiche avvengono nei sistemi socio-economici, quando, ad esempio, con l’affermarsi della produzione industriale si determinano innovazioni radicali nella distribuzione della popolazione sul territorio (abbandono delle campagne e urbanizzazione), oppure quando, in seguito al progresso tecnologico, si compie un salto di scala nella mobilità quotidiana (pendolarismo) o nella possibilità di comunicazione (rete internet), come pure quando il riassetto del potere decisionale tra i diversi livelli di governo modifica le responsabilità relative (internazionalizzazione e decentramento) o il modello tradizionale di spesa pubblica entra in crisi (riduzione delle risorse).

Se le cause che richiedono il ripensamento dell’assetto delle istituzioni locali sono comuni, è vero, però, che non esiste un modello unico di riferimento per rispondere al cambiamento.

Per rimanere in Europa, il modello inglese e quello francese rappresentano i due antipodi.

Una delle cause della varietà di soluzioni empiriche adottate, sta nel fatto che gli enti locali svolgono per loro natura una pluralità di attività che non raggiungono l’efficienza ad una stessa soglia dimensionale, per cui la dimensione ottima di fatto non esiste. Più realisticamente, però, la varietà di soluzioni dipende dall’intreccio fra fattori economici, politici, sociali e identitari.

Raramente le riforme territoriali sono condotte in modo non animoso, perché vanno a modificare l’allocazione del potere decisionale di una società, scardinando equilibri di lungo periodo e dunque incontrando numerose forme di resistenza. Una semplificazione del confronto è quella che contrappone le ragioni dell’efficienza a quelle dell’identità.

Nella definizione del concetto dei costi evitabili della frammentazione pesa notevolmente il ruolo svolto dalle identità locali. Ma non bisogna dimenticare, che anche il senso di appartenenza alla comunità è un concetto dinamico, le cui trasformazioni avvengono in modo molto lento, ma comunque avvengono.

Affermare che gli attuali assetti del governo locale, fissati in media a metà dell’Ottocento, debbano essere mantenuti come sono perché rispondono alle identità locali significa assumere che da allora ad oggi tali identità siano rimaste immutate, nonostante i cambiamenti strutturali avvenuti in merito a scelte localizzative, modalità di comunicazione e trasporto, domanda di servizi pubblici e forme di finanziamento.

Quello che è certo è che l’identità locale, muta nel tempo. Gli spazi relazionali degli individui sono molteplici, intersecati l’uno con l’altro e non necessariamente coincidono con gli ambiti di rappresentanza istituzionale (anch’essi organizzati a diverse scale territoriali, peraltro), soprattutto se questi ultimi nel corso del tempo si sono allontanati dai luoghi in cui si strutturano le relazioni sociali dense.

La definizione di costi evitabili della frammentazione del governo locale deriva dunque dall’assunzione che l’assetto vigente del governo locale sia molto più frammentato di quanto richiesto dall’attuale sistema delle identità locali, approssimato dai bacini del pendolarismo per motivi di lavoro o dagli ambiti di programmazione dei servizi socio-assistenziali locali.

I costi evitabili, inoltre, possono essere distinti in due categorie concettuali, espliciti ed impliciti. Con i primi si fa riferimento a quelli che generano un flusso di risorse in uscita e possono pertanto essere misurati; essi sono tipicamente i costi fissi di gestione che crescono al crescere del numero di unità locali in cui è suddiviso il processo decisionale pubblico e incidono in modo significativo sulle unità di dimensione più piccola.

Semplificando si può affermare che, se il compito principale degli enti locali è quello di erogare i servizi pubblici alle famiglie e alle imprese insediate sul loro territorio, essi devono gestire anche due grandi funzioni strumentali rispetto alla loro “ragione sociale”, che riguardano il processo politico di formazione della volontà collettiva e di traduzione della stessa in opzioni di politiche pubbliche e la gestione delle attività di organizzazione e amministrazione generale.

Le due componenti, che per usare uno slogan possono essere etichettate come costi della politica e della burocrazia, possono essere considerate alla stregua di “costi di funzionamento” della macchina, che pur essendo indispensabili, assorbono una parte delle risorse altrimenti destinabili ai servizi. In un’organizzazione ideale del governo locale, dunque, gli enti dovrebbero raggiungere una dimensione tale da minimizzare tale voce di spesa e da massimizzare di conseguenza le risorse destinate al soddisfacimento dei bisogni.

Per costi impliciti si intendono invece costi che non generano un’uscita quanto piuttosto una mancata entrata, ovvero ciò cui si rinuncia mantenendo un assetto del governo locale molto frammentato, una sorta di costo opportunità della prossimità istituzionale. Per la loro caratteristica si tratta di costi difficilmente stimabili, ma che rischiano di avere effetti negativi più dirompenti. L’eccesso di frammentazione, infatti, impone tempi di decisione politica lunghi e ridondanti, moltiplica i costi di transazione, spinge verso una concorrenza territoriale di tipo predatorio, impedisce l’attivazione di servizi più innovativi e di interesse sovralocale, in sintesi mina lo sviluppo economico futuro e il mantenimento dei livelli di benessere raggiunti.

Allo stato abbiamo enormi differenze tra Regioni: dove esistono ancora le Comunità montane (che sono e restano Unioni di Comuni ai sensi dell’articolo 32 del Tuel), dove sono state costituite le Unioni montane di Comuni, dove sono in corso processi di trasformazione con commissariamento, dove sono stati azzerati tutti i livelli di Unione e di conseguenza le “politiche per la montagna” che sono necessarie.

Lo sviluppo locale va costruito e incentivato con una spinta e un impegno degli Enti locali insieme, uniti, in un ambito territoriale ottimale. Così come il contrasto alla desertificazione, allo spopolamento, all’abbandono, la definizione di politiche incentivanti è importante quanto l’organizzazione dei servizi pubblici, in particolare scuola, formazione, trasporti, sanità, socio-assistenza. Verso sviluppo e organizzazione congiunta di questi servizi devono tendere le politiche nazionali e regionali per gli Enti locali dei territori montani e interni.

Le grandi città hanno molteplici soggetti su cui possono contare: università, centri di ricerca, associazioni… I piccoli Comuni, le aree montane, invece, per generare sviluppo non possono che contare sul Comune stesso e sull’impegno congiunto degli amministratori a lavorare insieme.

 

Catanzaro, 3 giugno 2025

 

Avvocato Annalisa Mazzei