UN’UTOPIA RAGIONEVOLE PER LE ALPI. RICORDANDO CLAUDE RAFFESTIN
Nei giorni scorsi ci ha lasciati il grande geografo Claude Raffestin. Con lui abbiamo lavorato e ragionato sul futuro delle Alpi in moltissime occasioni.
Pubblichiamo di seguito un suo testo, dal titolo “Un’utopia ragionevole per le Alpi”, del settembre 2008.
Un testo attualissimo.
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Il ruolo di gigantesco commutatore tra il sud e il nord dell’Europa svolto dalle Alpi, e di cui queste ultime testimoniano innumerevoli difficoltà, mostra la necessità di una riconsiderazione di questo « Mediterraneo pietrificato ». Le Alpi sono nuovamente, e forse mai come negli ultimi decenni, al centro delle preoccupazioni dell’Europa. Le Alpi sono in crisi a causa dei cambiamenti climatici e delle relative conseguenze sugli ecosistemi naturali e umani. Tale crisi può e deve essere un’opportunità per riconsiderare il nostro comportamento nei confronti delle Alpi. E, a mio parere, ciò può avvenire con una « rivoluzione » che, a termine, condizionerà l’evoluzione e rappresenterà il primo livello di una ragionevole utopia o, in altri termini, di un modello realizzabile. La fragilità stessa delle Alpi ci impedisce di gestirle mediante tecnologie sofisticate, ma pericolose, per sfruttare le risorse legate alla verticalità, all’aria, all’acqua, alla flora, alla fauna e non solo. Alla base del nostro futuro intervento sulle Alpi, primo elemento di una ragionevole utopia, deve risiedere la consapevolezza del fatto che dobbiamo gestire non le Alpi, ma l’utilizzo che ne facciamo.
Non si tratta di essere indovini, ma di attirare l’attenzione su un determinato numero di fattori. Ciò che resta dell’agricoltura e dell’industria classica non sarebbe in grado di fornire posti di lavoro a sufficienza e il turismo classico, per motivi climatici, è in fase di stallo; bisogna pertanto pensare ad altre attività, ma quali?
Sono possibili nuove forme di agricoltura orientate verso produzioni utilizzabili in industrie specifiche, ma queste non possono tuttavia superare un certo livello di impiego. Nell’ambito industriale, vedo attività legate al subappalto di capacità e alla riqualificazione di industrie di vecchia data con l’introduzione di nuove informazioni tecnologiche. Nel settore dei servizi, tutto ciò che concerne la salute attraverso il turismo deve essere rivalorizzato. Bisogna inoltre pensare a tutti i servizi legati alla ricerca che possono essere decentralizzati come già accaduto, ad esempio, nelle Alpi marittime con Sophia-Antipolis.
Tutto questo passa ovviamente da un rafforzamento delle strutture urbane alpine in modo tale da poter disporre di densità che si situano sulla soglia di impulsi creatori di informazioni. Le Alpi hanno sofferto, nella loro storia, di un’insufficienza di potenziale creativo. La maggior parte delle informazioni utilizzate sono state elaborate fuori dal loro contesto e gli stimoli sono quasi sempre risultati esterni e non interni. E’ importante incoraggiare lo sviluppo di un potenziale interno, creatore di nuove informazioni.
Un modello di sviluppo alpino deve basarsi su localizzazioni che combinano fattori ecologici e fattori economici attraverso nuove informazioni socioculturali e sociopolitiche.
Le grandi invenzioni della seconda rivoluzione industriale basate sull’elettricità hanno trovato nelle Alpi, con l’acqua, una risorsa essenziale per sviluppare l’elettrochimica e l’elettrometallurgia, il cui insediamento ha spesso sconvolto, se non distrutto irreversibilmente, gli ecosistemi naturali. A suo modo, la modernità industriale ha destrutturato i tradizionali ecosistemi umani.
Lo sviluppo degli sport invernali e di quanto ad essi annesso nonché le stazioni turistiche hanno determinato, dopo il 1950, impatti significativi sugli ecosistemi naturali. L’assenza di consapevolezza ecologica in molte regioni alpine ha inoltre comportato trasformazioni che si traducono, oggi, in incidenti multipli dovuti, tra le varie cause, all’instabilità dei terreni accentuata dalle strutture costruite senza nessuna precauzione.
Definire un bilancio delle distruzioni subite dal mondo alpino, da un secolo a questa parte, sarebbe possibile ma lungo e difficile. Eppure, ciò significherebbe riconoscere esplicitamente le devastazioni subite a livello ambientale e prendere coscienza del fatto che le Alpi costituiscono un “bene comune” la cui gestione, fino ad oggi, è stata in larga misura trascurata.
Fino alla costituzione dell’Unione Europea, le Alpi sono state, per i paesi interessati, regioni eccentriche e pertanto marginali. L’Austria e la Svizzera possiedono, da sole, una zona alpina che rappresenta i 2/3 del proprio territorio nazionale. Ma per l’Europa, le Alpi si sono trasformate oggi in una regione centrale! Le Alpi sono un «campo unificato » da considerare in termini di gestione di utilizzo tra gli attori che agiscono e decidono e gli attori che possiedono ampi mezzi per indurre alle migliori realizzazioni possibili.
Il secondo principio di una ragionevole utopia per le Alpi trova le sue radici nella mobilitazione dell’informazione scientifica, derivante sia dalle scienze naturali sia dalle scienze sociali, per immaginare nuove attività non dannose per le Alpi. Se si riuscissero ad articolare, in ciascun progetto, i diversi elementi naturali e umani in base al necessario utilizzo, sarebbe possibile avere la visione di un patrimonio comune. Il bene comune non può essere posto come assioma all’origine del processo, ma deve essere constatato a fine percorso, quando l’autonomia degli esseri e delle cose in oggetto sarà stata preservata.
Tale autonomia passa per la conoscenza delle temporalità differenziali alla base di una gestione di successo in termini di utilizzo delle Alpi. Un patrimonio è innanzitutto e soprattutto una “memoria vivente” prima di essere un bene materiale. Dipende sia dalla “metafisica” sia dalla “fisica”, come chiaramente dimostrato dal mito alpino. Cancellare la dimensione “metafisica” del patrimonio significa compromettere il suo avvenire “fisico”, poiché vuol dire condannarsi a ignorare ciò che lo costituisce e lo radica nell’immaginario collettivo attraverso elementi reali.
Una ragionevole utopia per le Alpi consiste, quindi, nel ripristino della parte di contemplazione da esse supposta: un’ecologia senza contemplazione non è altro che la rovina del patrimonio futuro.