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Avevamo lasciato il nostro “past president”, l’on. Enrico Borghi, impegnato sulle battaglie parlamentari, e ora lo ritroviamo in un ruolo chiave per la montagna italiana, consigliere speciale del Ministro delle Regioni e Autonomie Francesco Boccia e della Presidenza del Consiglio per la montagna. A lui il nostro presidente Marco Bussone si è rivolto in questa intervista per capire qual è la strategia di governo e Parlamento per il futuro delle terre alte e degli Enti locali montani.

 

Enrico Borghi, intanto a nome dell’Uncem felicitazioni per la tua nomina. Abbiamo collaborato con la precedente ministra Stefani, nell’ambito degli Stati Generali della Montagna, e naturalmente siamo pronti a collaborare con il Ministro Boccia, che abbiamo peraltro già incontrato. Ci puoi tracciare le linee del lavoro?

“Intanto fissiamo il perimetro di gioco. Per noi, parlare di montagna non significa occuparsi di questioni di dettaglio, utili per qualche talk show televisivo. Non ci si può imbattere nella montagna, e quindi esercitare un’azione di governo, solo sulla scorta di emergenze che stimolano a ondate emotive che poi vengono superate. Penso al dissesto idrogeologico, o ai cambiamenti climatici, per capirci: dopo ogni evento, proclami e grida manzoniane, troppo spesso dentro una dimensione emergenziale, che dopo poco si derubricano. E’ tempo di una politica organica, che affronti il tema della montagna, delle aree interne, della ruralità nella sua dimensione complessiva”.

E quali sono, secondo te Enrico, le misure dentro questo che definisci perimetro di gioco?

“Ci sono almeno tre livelli di azione, sui quali occorrerà imperniare lo strumento degli Stati Generali della Montagna come luogo di ascolto degli stakeholder e di attuazione delle politiche. Il primo è di carattere europeo: dobbiamo puntare decisamente, nel nuovo periodo di programmazione 2021/2027, ad un fondo specifico che riconosca la peculiarità dei territori di montagna in attuazione dell’art. 220 del Trattato Costituzionale UE. La nuova politica di coesione europea non può essere riformata senza mettere in campo, a fianco delle misure per le aree urbane (come il “PON Metro”), misure specifiche per le aree rurali e montane tese a favorire lo sviluppo sostenibile e a combattere lo spopolamento. Poi c’è il livello delle riforme nazionali, che è il secondo piano di lavoro: autonomia differenziata e riforma del testo unico degli enti locali, al fine di dare scheletro istituzionale adeguato alle politiche di coesione. E infine c’è l’attuazione delle misure di settore varate in questi anni, e ancora rimaste sulla carta: la legge sui piccoli Comuni, il collegato ambientale (con la fondamentale misura della Strategia Nazionale delle Green Communities), il testo unico in materia di foreste, oltre all’attuazione della Strategia Nazionale delle Aree Interne e alla costituzione della sua Federazione”.

Puoi spiegarci meglio il nesso tra autonomia differenziata e montagna?

“Il ministro Boccia ha messo in campo una proposta di legge quadro di attuazione dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione, che può rappresentare una svolta storica per le aree montane. Esso, infatti prevede che il tema della perequazione (sia fiscale che infrastrutturale) sia un pilastro fondamentale per l’attuazione delle intese tra Stato e Regioni in materia di autonomia differenziata. Per intenderci, significa vincolare per legge risorse finalizzate al riequilibrio tra i territori più ricchi e quelli più poveri. E questo non vale solo tra nord e sud del Paese, ma anche all’interno delle singole Regioni, perché tutti sappiamo che i differenziali di crescita tra aree urbane e aree montane sono molto diversi e a scapito delle seconde. In questo senso, l’autonomia differenziata è una doppia opportunità perché da un lato garantisce – con il meccanismo della perequazione obbligatoria sia per lo Stato che per le Regioni – le aree più deboli, e dall’altro perché assicura maggiore vicinanza tra istituzioni e territori evitando però di cadere dalla padella del centralismo statale alla brace del centralismo regionale”.

E quindi in questo senso che si inserisce il ruolo degli Enti locali, e della loro riforma?

“Esattamente! Mettere sullo stesso piano – come impone l’articolo 114 della Costituzione – Stato, Regioni, Comuni, Province e Città Metropolitane per l’attuazione dell’autonomia differenziata, significa porsi il tema di attuare l’articolo 118 della Costituzione e i criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. E’ evidente che 3.800 comuni totalmente montani, presi singolarmente e lasciati soli come atomi nello spazio, non potranno avere la stazza né per attuare la perequazione fiscale e infrastrutturale da un lato, né per mettere in campo le politiche di coesione europea. In tutta Europa, questo tema è stato affrontato e risolto con il tema dell’intercomunalità, dalle Comarcas spagnole ai Landkreis tedeschi alle Communautés francesi. Una scala intercomunale stabile è il presupposto essenziale per una capacità di intervento territoriale in grado di gestire le politiche di sviluppo sostenibile e le azioni contro lo spopolamento. Raggiungere finalmente questo equilibrio istituzionale è l’obiettivo che ci dobbiamo porre!”

Un’ultima riflessione, Enrico: l’Uncem da tempo – ancora da quando tu eri Presidente – pone il tema del ruolo del territorio in connessione ai grandi flussi globali di investimento. Come pensi si possa agire?

“Per dirla alla Aldo Bonomi, il territorio oggi è attraversato dai flussi, che rischiano di trasferire il valore aggiunto sul globale e desertificare il locale. Pensare di vivere fuori di essi significa essere illusi. Ma non possiamo piegarci alla logica che i flussi, da soli, risolvono i problemi. Serve la politica, perché altrimenti Amazon mi consegna certo il pacco a Cursolo Orasso, ma dentro una comunità desertificata. Io penso dobbiamo mettere in campo con i grandi operatori il modello che abbiamo costruito con Poste Italiane: dopo anni di scontro, non solo dialettico, si è trovato un punto di caduta su un modello che mette insieme modelli di business ed esigenze di territorio. Dobbiamo fare la stessa cosa con i grandi operatori. Eni dove vuole stoccare la CO2, nei nostri boschi? Venga e parliamo di servizi ecosistemici. A2A, Iren o Edison hanno il tema del rinnovo delle concessioni idroelettriche? Vengano e parliamo di come mettere in relazione politiche industriali e sostenibilità con il territorio. Enel vuole realizzare il più grande piano “green” delle politiche energetiche italiane? Venga e capiamo qual è il ruolo dei territorio in questo disegno. E il tema si può allargare alle grandi piattaforme, commerciali e digitali, e ai nuovi big players dell’economia della conoscenza. Per non parlare del ruolo delle Università e dei centri di ricerca. Ecco, gli Stati Generali della Montagna a mio avviso devono diventare il crogiuolo dentro il quale realizziamo l’incrocio tra il locale e il globale, e creiamo una politica di governo dei cambiamenti. In questo, i sindaci sono essenziali”.

Un programma ambizioso, Enrico…

“Può darsi. Ma è un programma necessario”.

Mettiamoci al lavoro, allora!

“Certo! Come sempre, zaino in spalla, e via!”